“LE PAROLE…LA PAROLA”
20 Settembre 2020 (Domenica XXV TO/A)
Isaia 55,6-9 / Salmo 144 / Filippesi 1,20…24 / Matteo 20,1-16
Se sei uno scarto, Dio ti sceglie!
Sarebbe da fare una “vertenza sindacale” sulla parabola riportata da Matteo all’inizio del capitolo 20, ma non ha a che fare con nessuna “dottrina sociale”, nemmeno della chiesa cattolica.
È piuttosto l’illustrazione parabolica, spesso paradossale nel genere letterario di questo vangelo, dell’affermazione che conclude il capitolo 19 (totalmente escluso dalla sequenza della proclamazione liturgica festiva):
“Molti primi saranno ultimi e molti ultimi, primi” (v. 30). Perché e come mai succederà così? Sono le nostre domande che hanno una risposta nel successivo v. 16: “Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
Siamo ancora una volta catapultati nella logica irragionevole dell’amore gratuito del Padre (v. 15a) che smaschera, dietro le nostre pretese di una giusta retribuzione per quanto umanamente compiuto da ciascuno, la nostra grettezza e presunzione (v. 15b):
“Non posso fare del mio quello che voglio?
Oppure tu sei accecato dall’invidia perché io sono buono?!”. Ci colpisce, e di sicuro ci stupisce (spero senza sdegno…), il comportamento del padrone che a fine giornata paga tutti i suoi operai in modo uguale e non in base alle ore di lavoro svolto, mentre ci può sfuggire la sua costanza nell’uscire a diverse ore del giorno, e non solo all’alba, per chiamare a lavorare nella sua vigna. Questo folle datore di lavoro esce ben cinque volte ad ingaggiare manovalanza, non solo perché ne ha bisogno ma perché non tollera “disoccupati”, lo trova umiliante per loro e per sé… sente quasi il dovere di assumerli lui (v. 3).
Alla fine prende pure gli “scartati”, gli “incapaci” … quelli che nessuno vuole a lavorare: “Nessuno ci ha ingaggiato” (v. 7). Di fronte alla mormorazione dei “primi” (vv. 11-12) si scopre il motivo di questo “strampalato” agire:
“Amico, io non sono ingiusto verso di te...,
desidero dare anche a quest’ultimo come a te” (vv. 13-14). Non siamo braccianti arruolati per la vita e nemmeno per servire nella comunità, ma siamo “amici”: liberi e responsabili! Non è solo un problema di retribuzione, ma di “riconoscimento”: “li ha resi uguali a noi…” (v. 12). Ci dà fastidio che tutti siano amati nello stesso modo e nella stessa misura dal Padre!
Ci può rassicurare però che, se anche non siamo i discepoli della prima ora, ma dell’ultima, non avremo meno di loro. Anche Pietro può ritenersi soddisfatto per la sua richiesta dopo l’affermazione di Gesù che aveva “fatto uscire di testa” i discepoli: “Chi dunque può essere salvato?” (cf 19,25). - Gesù: “Presso Dio tutto è possibile” (v. 26).
- Pietro: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; cosa ci sarà dato?” (v. 27).
Siamo sempre in buona compagnia, quando non capiamo la logica evangelica e non ci resta che arrenderci all’amore di Dio! “Le sue vie non sono le nostre” ci anticipa Isaia (55,6-9 – I lettura), eppure il Signore “è vicino” se noi ci lasciamo raggiungere dal suo invito e dalla sua prossimità, che accorcia ogni distanza e supera ogni nostra immaginazione religiosa.
Nessuno di noi potrà mai accampare diritti o qualche vana possibilità di “guadagnarci” la sua misericordia, il suo dono sovrabbondante di vita. Solo l’invidia o la nostra pretesa di imporre a Dio i nostri criteri svuota di senso e di valore anche la risposta che saremo stati capaci di dargli, nonostante tutto.
Gesù si pone davanti a noi come colui che non ha obiettato alla logica del Padre, ritenendola ingiusta per sé e tutta sbilanciata a nostro favore, Lui il “figlio della prima ora” per noi “dell’ultima”.
Oggi, invitati alla sua mensa, tutti Egli chiama “Amico” nel condividere la stessa ricompensa del suo amore, tutti siamo resi così “degni del Vangelo di Cristo” (Paolo i Filippesi – II lettura).
Roberto
È vero, noi faremmo una vertenza sindacale di fronte a questa ingiustizia umana, perché è vero, cadiamo sempre nel ragionamento umano. E per quanto sappiamo che Dio pensa ed ama diversamente da noi (grazie!) Continuiamo a provare invidia, a volerci vedere riconosciuto il nostro lavoro con qual he "titoloni più. Cosa mai ci salverà? Non chi dice Signore, Signore ... ma. Mi aggrappo a quel ma. Cerco di mettermi sempre in discussione e seguire non i miei sentimenti fuorvianti, ma l'ispirazione dello S.S. che mi guida a un comportamento di gratuità, e così prova dopo prova spero, almeno nell'ultima ora di guadagnare il sufficiente per il viaggio nella Gioia eterna.
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