12 ottobre 2025 -Domenica XXVIII/C
2Re 5,14-17 / Salmo 98
2Timoteo 2,8-13
Luca
17,11-19
L’elogio della GRATITUDINE
Un altro “elogio” che ci raggiunge dal
racconto evangelico di Luca (17,16-18).
Se la sfida evangelica è amare senza
aspettarsi gratitudine, tuttavia essa va riconosciuta quando chi la esprime non
avrebbe motivo per dimostrarla e nessun requisito nemmeno per ricevere una
grazia perché emarginato, escluso e scomunicato... samaritano appunto!
La gratitudine è una risposta che non
sarebbe possibile senza la gratuità di un solo piccolo gesto d’amore, anche da
una distanza che all’inizio sembra insuperabile.
Ha più valore il dono in sé o il gesto
che oltrepassa le barriere?
Se ci sorprende la gratuità dell’amore,
non può non stupirci che la gratitudine venga da chi non ce l’aspetteremmo.
“L’essere umano compiutamente realizzato,
secondo l’evangelo di Gesù, è colui che sa accorgersi di sé stesso e degli
altri, del miracolo continuo che l’amore misericordioso opera nella sua vita
(cf Luca 10,33ss.; 17,15ss.). Chi sa
accorgersi della grazia su di sé, sa usare per questo misericordia verso gli
altri. Nella gratitudine del lebbroso
samaritano, Gesù riconosce il segno della sua fede: nella gratuità verso il
prossimo e nella gratitudine verso di Lui. Ecco il cammino quotidiano della
vita di fede: dalla gratuità alla gratitudine” (Comunità
di Viboldone).
Contestualizzazione evangelica
di Luca 17,11-19
Una nuova tappa del
cammino del Nazareno “verso Gerusalemme”, come viene narrato da
Luca, “attraverso la Samaria e la Galilea”:
Egli sta andando incontro alla sua morte. Un percorso molto strano, verso nord che
sembra allontanarlo dalla Città santa a sud; un cammino lungo la “frontiera”
tra due regioni periferiche per la religiosità ortodossa giudaica.
Tuttavia
essa circoscrive un’ambientazione più teologica che geografica, tipica di Luca,
per introdurre nuovamente la gratuità della salvezza operata da Gesù che ha come
suoi protagonisti preferiti “gli esclusi” per eccellenza, “i lebbrosi”
(10 che equivale a “tutti”) e “gli scomunicati” per antonomasia, “un samaritano”.
L’osare
andargli incontro è già riporre la fiducia in uno che va verso di loro contro
ogni regola e convenzione, aprendo così uno spazio di dialogo (cf 5,42-44);
essi giocano il tutto per tutto non arrendendosi a una situazione senza via di
uscita e rivolgendosi a chi ne ha la possibilità [“maestro/capo”
v. 13].
A
quali “sacerdoti” avrebbero dovuto presentarsi i lebbrosi per verificare la
guarigione? Troppo distanti da quel luogo! Eppure si incamminano lo stesso,
fidandosi unicamente della sua parola.
Ma
uno solo dei risanati avverte il paradosso e non perde tempo: torna da Gesù,
fonte della sua nuova vita ricevuta, Dio stesso; dimostra gratitudine e fede; addirittura
riceve il dono di poter “risorgere” e “il mandato” di poter continuare a vivere
così.
Un
percorso che anticipa ciò che il Signore opererà per tutti gli esseri umani con
la sua risurrezione: la fine di un sistema religioso ormai totalmente
inefficace per il bene delle persone e l’inizio di una novità assoluta di cui la
comunità lucana è ormai depositaria. Ora essa deve coglierla come una sfida
e non chiudersi nelle sue sicurezze e pregiudizi, ma continuare ad esserne
testimone se non vuole incorrere negli errori del passato (cf Atti 8,5-25). Il suo compito è mantenere
viva la relazione con il Risorto e l’appartenenza a Lui che trasmette, oltre all’integrità
fisica, la ragione vera del vivere.
Ambientazione
liturgica
+ L’acclamazione al vangelo ci dà i contorni e le dimensioni del
messaggio lucano: “Voi siete… proclamate:
Lui vi ha chiamati dalle tenebre alla luce” (cf 1Pietro 2,9). Siamo noi che ascoltiamo e celebriamo a “risorgere”
per la parola del Signore: “Alzati e va’”.
L’Eucaristia
è il “rendere di grazie” del nostro passare nuovamente da morte a vita nuova,
rigenerati e mandati a testimoniarla.
La Liturgia della Parola ci
annuncia la salvezza e quella eucaristica ce la fa sperimentare.
- È
una salvezza universale per la quale la comunità ringrazia a nome di ogni
essere umano e di tutti i popoli che ancora non la riconoscono [Salmo 98].
-
La guarigione dalla lebbra di Naamàn il siro testimonia anche a noi la
gratitudine dello “straniero” che scopre una nuova appartenenza al Signore al
di là delle sue origini etniche e religiose [2Re 5 - I lettura].
- Paolo,
“in catene”, è disposto a soffrire personalmente per “quelli che Dio
ha scelto”, consapevole che la risurrezione di Gesù opererà la
salvezza. Questo non dobbiamo dimenticarlo mentre celebriamo il culto:
tutti sono con noi, presenti a partecipi della vita nuova nella quale “moriamo
e risorgiamo” [2Timoteo 2 - II lettura].
- “Alzati
e va’” è la parola che oggi ci congeda [Luca 17,19 – Evangelo].
Siamo
mandati ad andare incontro accorciando ogni distanza, abbattendo ogni
distinzione, sanando ogni divisione con la forza della Sua Parola.
Preghiamo con la Liturgia
Dio nostro Padre,
che nel tuo Figlio liberi l'essere umano
dal male che lo opprime
e gli mostri la via della salvezza,
donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
affinché, rinnovati dall'incontro con la tua parola,
possiamo renderti gloria con la nostra nuova vita.
Amen.
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