Vicina è la Parola
27 luglio 2025 – Domenica XVII C
Genesi 18,20-32 / Salmo 137
Colossesi 2,12-14
Luca 11,1-13
Padre: pregare, perché?
Come si faccia a pregare e a che cosa serva sono interrogativi anche dei cosiddetti “diversamente credenti”; ma spesso i credenti stessi si arrendono: “ho pregato tanto… ma il Signore non mi ha ascoltato”, oppure constatano di non saper pregare o di non aver mai pregato veramente.
Se nella preghiera chiediamo, siamo sicuri che sia ciò di cui abbiamo bisogno?
Certo se abbiamo a che fare con una malattia che si prospetta inguaribile, con una situazione drammatica come la guerra, con persone irrecuperabili… queste ci sembrano davvero “urgenze” per cui pregare, dato che non riusciamo a cavarcela con le nostre forze.
A rifletterci bene, sotto o dietro c’è un‘idea di Dio un po’ “distratto” o troppo occupato in altro, comunque uno a cui piace appunto “farsi pregare” per intervenire.
Ma in realtà a Dio non piace “farsi pregare” anche perché non ha nessun altro di cui occuparsi se non di noi, i suoi figli e figlie, che ritiene capaci di reggere le sorti del mondo.
È nel momento in cui ci mettiamo a pregare che emerge “chi è Dio per noi” e soprattutto per chi o cosa noi viviamo e crediamo.
Evitiamo pertanto due estremi: ritenere che la preghiera risolva tutto o che sia totalmente inutile. Essa, infatti, non agisce sugli avvenimenti o su Dio modificando la sua volontà nei nostri confronti, ma agisce su di noi: ci apre il cuore e ci cambia, mettendoci in contatto con le nostre risorse profonde, con l’ispirazione creatrice dello Spirito capace di rigenerare continuamente l’esistenza del mondo.
Pregando permettiamo a Lui di cambiare noi stessi, il nostro atteggiamento nei confronti dell’esistenza umana con le sue fragilità, contraddizioni, assurdità… e cominciamo a vedervi un senso, un significato, un valore finora nascosti ma presenti. Lasciamo che diventi “Dio-in-Noi” e cominci sprigionare la sua unica vera potenza che è l’amore; la preghiera ci permette di lasciarlo agire liberamente, per il nostro vero bene e per quello degli altri… ciò per cui appunto stiamo pregando.
La malattia non è una disgrazia ma una situazione in cui noi e gli altri possiamo diventare migliori, più umani, più sensibili e compassionevoli, in cui amare e lasciarci amare, vincendo la paura del dolore e della morte, credendo che la fiducia in Dio possa farci risorgere… adesso!
Infatti è come se “morisse” la nostra pretesa di essere esauditi e nascesse in noi la disposizione a fare qualcosa, anche un piccolo semplice gesto d’amore.
Non basta pregare Dio per gli altri, occorre lasciarlo agire in me verso di loro.
Sono riflessioni e considerazioni che mi ha suscitato l’ennesima lettura di “Ogni giorno è un’alba” di Luis Evely.
Contestualizzazione evangelica di Luca 11,1-13
Gesù di Nazaret annuncia la Presenza di Dio in noi e in mezzo a noi che è Lui stesso e invia i discepoli a fare altrettanto. Un Suo Volto inedito viene rivelato e comunicato: il Padre, così tutto cambia nel modo di agire e di pregare perché propone di vivere da figli e figlie, da fratelli e sorelle e apre uno spazio ad un nuovo “centro di gravità” per la propria persona ed esistenza: l’amore.
Ciò viene attestato dal samaritano in 10,25-37, da Marta e Maria a Betania in vv. 38-42, e ora i discepoli, quotidianamente a contatto con il Maestro, condividendo le sue attività e ascoltando le sue parole, rimangono impressionati dal suo modo di pregare.
La “comunità lucana” cerca nelle sue origini il senso della preghiera anche per i singoli credenti e recupera la “tradizione giudaica” di Matteo sulla “novità” dell’insegnamento di Gesù [“invece tu…”] che insiste sul rapporto con il Padre “nell’intimo” (Mt 6,6) e sulla originale esperienza comunitaria nella “presenza” del Signore risorto (cf 18,19-20ss.): è quindi urgente e necessario imparare nuovamente da Lui anche a pregare, recuperando l’essenziale del suo insegnamento ai discepoli (Luca 11,1).
Paolo ha espresso questo insegnamento sull’essenzialità e unicità cristiana dello “Spirito che prega in noi… Abbà, Padre” (cf Galati 4,6; Romani 8,15) includendo la tradizione evangelica della libertà e della fiducia.
Anche le diversità delle due tradizioni evangeliche attestano che non si tratta di imparare “una nuova preghiera”, ma di entrare in “un nuovo rapporto con Dio”, quello filiale di Gesù nei confronti del Padre: “Abbà-Babbo” (cf v. 2a) che lo porterà a conformarsi in pieno alla sua volontà proprio nell’angoscia e nella morte (cf 22,42; 23,46). Il Maestro insegna infatti solo quello che Egli sperimenta come Figlio, così anche si era espresso dal più profondo di sé stesso “colto da incontenibile gioia” (cf 10,21-22).
In Luca ne risulta una versione più familiare e intima in cui la “santità di Dio” si esprime nella misericordia (cf 1,49-51) che spinge noi a manifestarla con il nostro stile di vita: “ciò che Tu vuoi in Te, noi abitanti del mondo, possiamo compierlo in modo irreprensibile” (v. 2b).
La richiesta del “perdono dei peccati” (v. 4) sarà compiuta poi da Gesù stesso sulla croce: “Padre, perdona loro…” (cf 23,34).
La parabola che segue è un’esortazione alla fiducia e alla perseveranza perché, nel chiedere, ciò che si ottiene è comunque sempre il dono dello Spirito sorgente e ambiente del rapporto filiale con il Padre e quindi della preghiera (cf vv. 5-13).
Ambientazione liturgica
+ Quale momento migliore della celebrazione eucaristica per sperimentare la bellezza, la varietà e l’efficacia della preghiera! Insieme noi lodiamo, ringraziamo, intercediamo, chiediamo il perdono e la misericordia… è un dialogo familiare” che la tradizione latina vuole sempre rivolto al Padre nel Figlio per lo Spirito. [Dossologia eucaristica]
- La comunità, riunita in Assemblea liturgica, che prega sempre per e a nome di tutti, è voce dell’umanità dispersa [Preghiera universale] e a volte, come Abramo, si spinge fino all’ultima trincea della misericordia e rimane in un dialogo “amichevole” di fiducia, che sa fin dove può osare a rischio anche della sua sicurezza finale [Genesi 18 – I lettura].
- Questa fiduciosa speranza nella misericordia senza limiti del Signore è il motivo del ringraziamento per una vera rinascita nella ritrovata forza tra le sventure e nel compimento delle sue promesse [Salmo 137].
- Per il cristiano questa è l’immersione nella morte e risurrezione di Cristo fonte di piena libertà per il perdono ottenuto [Colossesi 2 – II lettura] e la sua preghiera scaturisce da questa esperienza pasquale nella quale tutto diventa possibile perché tutto è già stato donato e ricevuto. Da qui prende vita anche il “rendimento di grazie”, cuore della celebrazione eucaristica.
+ Papa Gregorio Magno aveva introdotto la “Preghiera del Signore” subito dopo la sinassi utilizzando il testo di Matteo e così nella Liturgia, salmica ed eucaristica, la comunità cristiana la ripete tre volte al giorno, rinnovando la richiesta quotidiana del “pane di ogni giorno/sostanziale” con un chiaro connotato “eucaristico” [Luca 11 – Evangelo].
Preghiamo con la Liturgia
Dio, santo e misericordioso,
Cristo Gesù tuo Figlio
ci ha insegnato a chiamarti Padre:
invia su di noi lo Spirito tuo dono,
così che in Te
Amen.