Vicina è la PAROLA
8 giugno 2025
Pentecoste dello Spirito
Atti 2,1-11 / Salmo 103
Romani 8,8-17
Giovanni 14,15-16.23b-26
Senza lo Spirito…
«Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda,
il culto un arcaismo, e l’agire morale un agire da schiavi. Ma nello Spirito santo il cosmo è nobilitato per la generazione del Regno, il Cristo risorto si fa presente, il vangelo si fa potenza e vita,
la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale
e anticipazione, l’agire umano viene deificato».
(Atenagora I, patriarca di Costantinopoli dal 1948 al 1972).
Contestualizzazione evangelica di Giovanni 14,15…26
Chi ama Gesù è dimora dell’amato (vv. 15-21)
L’evangelista riporta queste parole di Gesù come rivolte anche alla comunità dei credenti provati dalle persecuzioni, per questo Egli stesso invoca lo Spirito “avvocato difensore” (paraklètos) in un eventuale processo, ma anche “protettore e consolatore” nelle loro sofferenze interiori (cf v. 17).
Privi della presenza fisica del loro Signore, essi già vivono la vita di/in Cristo (cf v. 19) e lo Spirito “ricorda a loro le sue parole”, perché non si smarriscano, ma rimangano nella “via vera, che conduce alla vita”. Gesù, consapevole della sua futura “assenza”, vuole rendere consapevoli i discepoli della nuova presenza di “un altro paràclito” (cf 15,26; 16,13).
“Dimorare/Rimanere” esprimono il nuovo rapporto discepoli - Maestro, Signore - credenti, attraverso la Parola che comunica la sua esperienza di amore come Figlio “nel Padre” ed Egli chiede a Lui per noi il dono interiore e permanente dello Spirito di verità (cf vv. 15-17), opposto a ciò che esige di sperimentare dall’esterno il mondo.
Il linguaggio di Giovanni è molto intenso riguardo all’azione e presenza dello Spirito: “con / presso di loro”: era già attivo in Gesù, ma ad essi nascosto, e ora evidente “in loro”. C’è una progressione di percezione in base alla familiarità che si stabilisce. Aumentano la distanza da Gesù e progressivamente la vicinanza dello Spirito: ogni relazione diventa ora più interiore ed è questo l’ambito d’azione dello Spirito (cf J. De La Potterie).
Lo Spirito svolge un ruolo di “verità” riguardo alla vita nuova in Gesù: “un amore che si fa servizio”; di “guida” in percorsi esistenziali che possono anche smarrire “la via”, sentendosi quasi “orfani” (v. 18).
L’assenza fisica di Gesù non priverà i suoi dalla possibilità di “vederlo”, di sentirlo presente, infatti è pur vero che non si vede solo con gli occhi (questo è il peccato del mondo: cf 9,39); piuttosto è in virtù del rapporto con Lui, “perché io vivo e voi vivrete” (v. 19), che l’esperienza del credente non si esaurisce, anzi raggiunge la sua pienezza: “In quel giorno voi conoscerete me nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20). “Quel giorno” come tempo segnato dallo smarrimento e dalla desolazione, dalla solitudine e forse dalla disperazione, di amarezza, di delusione e scoraggiamento.
La “rivelazione/manifestazione” chiesta da Filippo si conclude richiamando: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15), aggiungendo: “Chi ha i miei comandamenti e li osserva è lui che mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio e io amerò lui e mi farò conoscere da lui” (v. 21).
Si apre così ai credenti una suggestiva prospettiva di continua crescita nella conoscenza/esperienza di Gesù e per la comunità di affidarsi ad una norma di vita vincolante e liberante nello stesso tempo. “Questa sintonia con lo Spirito di verità rende ogni discepolo profeta per la comunità, aiutandola a tener vivo e vivificante il messaggio di Gesù e a saper discernere la Parola tra le parole” (A. Maggi).
Lo Spirito vi insegnerà e ricorderà ogni cosa (vv. 22-26)
Il terzo intervento, che scandisce il discorso del capitolo 14, è di Giuda, uno dei “fratelli di Gesù” (cf Mc 6,3; Mt 13,55), ed esprime la diffusa credenza, ma anche la loro convinzione, che il Messia si sarebbe manifestato pubblicamente e in maniera prodigiosa (cf 7,4-5). Come mai adesso Gesù insiste così tanto sulla sua manifestazione esclusivamente a loro? (cf v. 22).
La sua risposta riprende l’insegnamento riguardo ad un rapporto completamente nuovo con Dio: “Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).
Il linguaggio e lo stile seguono una tipica “circolarità” (cf v. 15 e il v. 21) aggiungendo che se “la sua manifestazione” non riguarda “il mondo”, nemmeno solo i discepoli, essa infatti è per tutti coloro che, “osservando/ascoltando la sua parola” (cf v. 24), entreranno “stabilmente” nel suo reciproco rapporto d’amore con il Padre.
“Il ritorno” di Gesù al Padre non è ritirarsi in una dimensione celeste, ma ancor più terrestre, umanizzata, infatti diventa stabile nell’esistenza dei credenti, nel loro amore che nasce dal vivere ascoltando la sua parola.
Quest’esperienza già iniziata con l’esistenza umana di Gesù e diventata piena nella sua morte e risurrezione, ora viene comunicata dal Padre inviando lo Spirito “paraklètos” con il compito “insegnare” e di “ricordare” le sue parole (cf vv. 25-26: “didàskein” è un insegnamento performante che permette di interagire (cf 8,28); “upomimnésein” è attualizzare, come nel culto).
Un insegnamento in termini e modalità differenti, che riguarda Gesù, il suo rapporto con il Padre e con i suoi (cf 15,26). Egli aveva lavorato in profondità (cf 6,59; 7,14; 8,20), ora tutto giace in loro in attesa di essere riattivato dallo Spirito che “ricorderà”, rendendo tutto operativo nella loro esperienza di fede e rivelandone tutta la portata prima nascosta.
Possiamo dire che l’evangelista, nel “ricordare” le parole del Signore anche scrivendole, esprime la sua fede nell’azione attualizzante dello Spirito verso la comunità a cui il racconto evangelico è rivolto: le parole di Gesù illuminano ed interpretano la situazione della chiesa della prima generazione e sono per essa criterio di discernimento per la sua presenza nel mondo. Questo dà sicurezza che lo Spirito parla nella predicazione ecclesiale.
Ambientazione liturgica
A cinquanta giorni dalla Pasqua, la Chiesa annuncia l’effusione dello Spirito, il dono che anima la sua esistenza e quella di ogni credente, stabilendo in questo giorno il suo invio sugli apostoli e il loro mandato per essere testimoni dell’esistenza, morte e risurrezione del suo Signore.
Le Liturgie di questo “cinquantesimo giorno”, da quella vigiliare -che vuole ricalcare quella pasquale priva però di simboli e riti originali- a quella dei vespri conclusivi, pongono l’accento sulla “pienezza” del mistero pasquale e di tutta la storia della salvezza: il tempo/giorno è “pieno”, come lo sono la casa e le persone: lo Spirito “riempie” il “vuoto” lasciato da Gesù e ciò che è carente, incompleto in noi.
“Il Soffio” che fin dalla creazione anima l’azione di Dio così da far diventare l’adàm un “essere vivente” [Genesi], pervade ora di sé, liberamente ed efficacemente, l’esistenza “carnale” di ogni credente e dell’intera umanità [Ezechiele]. È una presenza che fino alla fine continuerà a far lievitare la storia universale e renderà possibile la novità del regno di Dio [Gioele], un soffio inarrestabile, un vento che ci sospinge verso tutti e sempre “terre straniere”, un amore che unisce e fa diventare fratelli/sorelle di tutti rispettando ogni differenza, capace di dialogare e di creare legami finora sconosciuti [Atti 2 – I lettura].
È culmine e punto di partenza di una presa di coscienza nuova: lo Spirito del Risorto dona a ciascuno la capacità di essere e di vivere ciò per cui Egli ha dato la sua vita, non per se stessi ma per il bene di tutti
È il “giorno” di una nuova conoscenza/esperienza di Gesù, come figli “nel Padre”, interiore e dunque nel travaglio, in attesa di una nuova aurora di risurrezione [Romani 8 – II lettura].
Nessuno di noi può conseguirla come risultato di un impegno personale, pur ammirevole, ma come effetto di una docilità e disponibilità che trova il Maria di Nazareth il suo “typo”.
Preghiamo con la Liturgia
Padre santo,
che nell’evento di Pentecoste
santifichi la tua Chiesa
in ogni popolo e nazione,
diffondi su tutta la terra i doni del tuo Spirito,
e rinnova anche oggi nell’intimo dei credenti
i prodigi che nel tuo amore universale
hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo.
Amen.
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