sabato 28 giugno 2025

Vicina è la PAROLA 29 giugno 2025 Santi Apostoli Pietro e Paolo La chiave e la pietra

 Vicina è la PAROLA

29 giugno 2025

Santi Apostoli Pietro e Paolo

Atti 3,1-10 / Salmo 18 / Galati 1,11-20

Giovanni 21,15-19

Atti 12,1-11 / Salmo 33

2Timoteo 4,6-8.17-18

Matteo 16,13-19


La chiave e la pietra

[by Luca Rubin, 27 Agosto 2017: Roccia o sassolino?]

Le relazioni più vere non sono quelle perfette, intatte, appena uscite da una confezione. Sono quelle vissute, ferite, perdonate. Proprio come quella tra Gesù e Pietro. Le relazioni – di amicizia, d’amore, professionali, di qualsiasi tipo – possono essere nuove (ancora impacchettate nel loro cellophane, con bigliettino e libretto di istruzioni), oppure usate: logore, consunte, strapazzate, scucite e ricucite, rattoppate, mancanti di qualche pezzo, lacerate e cicatrizzate.

A una relazione nuova preferisco mille volte una relazione usata, vissuta fino in fondo con tutto ciò che ne consegue: sofferenza, fatica, offese e riconciliazioni, richieste di perdono, rappacificazioni, in un’altalena di emozioni e sentimenti che – diciamocelo – è logorante, ma senza la quale la vita sarebbe vuota, arida e spenta.


Ermeneutica biblica di Matteo 16,13-19

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Se guardiamo la relazione tra Gesù e Pietro, vediamo una relazione consumata, segnata, ma profondamente vera. Nei Vangeli, Pietro è sempre quello che la dice più grossa, che fatica a stare dietro al Maestro, ma che – nonostante tutto – non indossa maschere e dice chiaramente ciò che pensa. Pietro che rinnega e fugge la Passione e la morte del Signore. Pietro che grida: “Non lo conosco!”, che piange, ma non dispera. Pietro che riconosce la propria miseria e sperimenta la misericordia di Dio: un Amore che perdona e accoglie, sempre.

Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”.

Questa premessa ci porta al Vangelo di questa domenica. Secondo te, chi è davvero la pietra: Pietro o Gesù? Pietro ha fatto esperienza del proprio limite, si è scontrato e schiantato col proprio nulla, ha conosciuto la miseria e la misericordia, ha ricevuto il perdono del Signore. In tutta questa esperienza profondamente umana, chi è stata la Roccia, la base da cui ripartire?

Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, 

ed è diventata la pietra d’angolo” (Atti 4,11)

Gesù è la pietra, la roccia su cui fondare la nostra vita. È su di Lui che possiamo poggiare la nostra debole speranza e ripartire ogni volta, dopo ogni sconfitta. Proprio come ha fatto Pietro, che non si è mai illuso di essere roccia, ma si è affidato – pur tra fatiche e tentennamenti – alla Pietra vera, Gesù, roccia di salvezza.

A te darò le chiavi del Regno di Dio.”

Nell’immaginario collettivo, Pietro è da secoli il portinaio del paradiso, proprio in base a queste parole. Ma è interessante notare che nel Nuovo Testamento ci sono solo due menzioni di chiavi: questa, e quella dell’Apocalisse:

Non temere! Io sono il Primo e l’Ultimo, il Vivente.

Ero morto, ma ora vivo per sempre, 

e ho le chiavi della morte e degli inferi.” (Apocalisse 1,18)

Queste chiavi le ha Pietro o Gesù? Il versetto dell’Apocalisse parla di Gesù, il Vivente.

La chiave è la croce, la morte e la risurrezione di Gesù. A Pietro – e a noi – è affidata questa chiave, non per dominarla, ma per servirla. Come Pietro, anche noi siamo chiamati a vivere questa chiave non per orgoglio, ma per servire, senza dimenticare che Gesù è la Roccia e la Chiave che aprono la vita.

Come Pietro

Pietro ha fatto esperienza di se stesso e di Gesù. Si è fidato e affidato. 

Ha saputo chiedere e ricevere perdono. È sempre rimasto discepolo, cioè in cammino.

È Gesù la Pietra. È Gesù la Chiave.

Il Vangelo di oggi ci invita a riscoprire la nostra vocazione di credenti che fanno esperienza dell’amore di Dio. Una relazione consumata con Dio, come un vecchio quaderno: pieno di macchie, strappi e correzioni. Imperfetta, ma autentica. Le pagine raccontano una storia viva, fatta di errori e ripartenze. Proprio come quella di Pietro: macchie, cancellature, fogli strappati dal nervosismo di chi ha sbagliato, ma vuole ripartire.

Gesù Roccia, Gesù Chiave. Anche per te, oggi.

Oggi, come Pietro, puoi ancora affidarti alla Roccia e accogliere la Chiave.

La tua relazione con Dio, vissuta, segnata e autentica, è il punto di partenza per ogni nuova ripartenza.


giovedì 19 giugno 2025

Vicina è la PAROLA 22 giugno 2025 Corpo e Sangue del Signore/C Spezzare per MOLTIPLICARE Fame e sete… di cosa, di Chi?

 Vicina è la PAROLA

22 giugno 2025

Corpo e Sangue del Signore/C

Spezzare per MOLTIPLICARE

Genesi 14,18-20 / Salmo 109

1Corinzi 11,23-26


Luca 9,11-17


Fame e setedi cosa, di Chi?

Di cosa abbiamo davvero fame? 

Si tratta solo di un istinto primario di sopravvivenza o piuttosto di una carenza che chiede qualcosa di più profondo? I disturbi alimentari diffusi nella nostra società “del benessere” ce lo attestano: non è questione di appetito o di gusto, nemmeno la consapevolezza che, in un contesto dove il superfluo sostituisce il necessario e il bisogno viene indotto dall’offerta di mercato, è più difficile capire cosa sia essenziale per vivere e da dove provenga la nostra fame o sete. 

Un malessere può indicare una mancanza, ma la scelta della “alimentazione” parte dalla ricerca di cosa valga davvero la pena di avere, “il pane sostanziale” da chiedere ogni giorno (cf Matteo 6,11) a cui non si può rinunciare per vivere: l’amore!

Quando a tavola condividiamo il cibo nella festa e nella gioia non sono forse i nostri cuori ad essere saziati?!

Fame di vita e sete d’amore in diversi modi hanno a che fare col cibo e ci indicano la necessità di un “dono” che appaga (cf Giovanni 4,8.10.15,31-34). Quando riusciamo a riconoscerle e a dargli un nome; nel momento in cui ci accorgiamo che ci accomunano e che più ci separiamo crescono in modo insaziabile... allora un processo vitale inizia ad innescarsi interiormente.

La “beatitudine” di “chi avendo necessità -fame e sete- di un nuovo rapporto con Dio viene finalmente saziato” (Mt 5,6) è un altro segno che “non di solo pane vive l’essere umano” (cf 4,4)

Altro che “buco nello stomaco” da riempire… una voragine chiede di essere colmata! (cf Luca 3,5). Anche S. Madre Teresa, che di persone ne sfamò a migliaia, riconosceva che dopo aver saziato il corpo occorreva dare “un senso per vivere”.

Condividere la fame ci fa apprezzare il “dono” del pane, soprattutto quando Chi ce lo dona non lo paracaduta dall’alto, tipo “intervento umanitario”, facendoci sgomitare per accaparrarcelo, ma ce lo “offre” come dono d’amore per essere a sua volta compartito (cf Giovanni 6,32.39): per noi “lo/si” spezza donandoci una nuova identità unitaria e facendoci assaporare in anticipo il gusto della compagnia solidale, premessa profetica di quella divina.


Ermeneutica evangelica di Luca 9,11-17

La Parola del Regno è prossimità del Nazareno alle “folle bisognose di cure”: una persona che si muove tra loro e sta con loro dall’alba al tramonto (cf vv. 11-12).

Non vuole nemmeno farsi staccare da loro, anzi i loro bisogni vitali lo attraggono, li accomuna lo stesso “deserto” che lui ha dovuto frequentare anni prima, la stessa tentazione di una soluzione “scorciatoia” (cf 4,1.3-4) che egli rifiuta optando per la più ardua, non miracolistica e meno eclatante ma ugualmente prodigiosa: il prendersi cura con amore!

Voi stessi date loro da mangiare/date loro voi stessi da mangiare” (cf 9,13).

È comunque una provocazione che chiede un coinvolgimento personale, il far ricorso a qualcosa di proprio e non di preconfezionato. Le risorse da mettere in campo sembrano sempre in questi casi inadeguate e insufficienti (cf vv. 12.13), fino a che Qualcuno, con la forza della sua Parola, non accende lo sguardo e scalda il cuore (cf Luca 24,30-32): 5x5000 è la proiezione all’infinito dell’amore che non ha limiti ma che inizia dal possibile 5x10: il prodigio è già in atto e inizia a dare frutto radunando e facendo stare insieme, in gruppo che è l’inizio della comunità (cf vv. 14-15).

Sarà poi, nel pieno del 50esimo giorno, la Pentecoste, a diventare Chiesa che “spezza il pane in letizia e semplicità di cuore… senza che più a nessuno manchi il necessario per vivere” (cf v. 17 e Atti 2,1.42.46; 4,35). 

Spezzare e condividere fa moltiplicare”: è il prodotto dell’amore che implica il dono di sé e che alla fine consente a ciascuno dei dodici di andar via con una cesta piena di avanzi, custodi della provvidente carità. In tale contesto le parole e gesti eucaristici, per lungo tempo considerati quasi “magici”, acquistano e sprigionano tutta la loro potenza, nella fragilità dei loro segni (cf v. 16).


Ambientazione liturgica

Gesti inediti e parole prima sconosciuti si erano già impressi nella memoria di un popolo, sono quelli di Melchisedek re di Salem incontrando Abramo: ringraziamento per una vittoria bellica sui propri nemici [Genesi 14 – I lettura], così che la successiva tradizione biblica vede in lui una profezia del re David e del Messia [Salmo 109].

Nella memoria dei discepoli di Gesù la “tradizione”, come consegnarsi, è andata oltre le sue parole, i suoi gesti col pane ed il vino della cena pasquale [1Corinzi 11 – II lettura] e mesi prima nello spezzare il pane per una folla affamata di vita, in una radura assolata, gente oppressa da malattie e mali. Ciò che Egli si era rifiutato di fare per sé (cf Luca 4,2-4), ancora nel deserto provvede pane in abbondanza per tutti e a partire dalla povertà di quello che viene portato, insufficiente a sfamare [Luca 9 – Evangelo].

E’ un gesto profetico del dono di sé che solo l’amore può autenticare.

L’amore, che appaga e unisce, fa di noi un corpo solo come quella folla una comunità; la misericordia che parte dalla nostra povertà quotidiana e la sazia, la trasforma capace di saziare effetto della risurrezione, la vera vittoria per cui ringraziare sul potere del male e della morte che rende l’umanità capace di donarsi e offrirsi in quanto corpo del Cristo donato [Paolo ai Corinzi]. Questo il Padre riconoscerà: la sua misericordia fatta carne, storia quotidiana, vita nella gioia”.

(Comunità di Viboldone)

Preghiamo con la Liturgia

Padre, buono e provvidente,
che ci raduni in festosa assemblea
per celebrare il sacramento pasquale
del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
fa’ che nella partecipazione
all’unico pane e all’unico calice
impariamo a condividere con i fratelli e sorelle
i beni della terra e quelli eterni.
Per il nostro Signore Gesù,

Cristo tuo Figlio che è Dio,
e vive e regna con te, 

nell’unità del tuo Spirito, 

ora per l’eternità. Amen.


sabato 14 giugno 2025

Vicina è la PAROLA 15 giugno 2025 Dio: Trinità d’Amore NOI, grembo generativo di ogni relazione

 Vicina è la PAROLA

15 giugno 2025

Dio: Trinità d’Amore

Proverbi 8,22-31 / Salmo 8

Romani 5,1-5

Giovanni 16,12-15


NOI, grembo generativo di ogni relazione

Chi spinge “da dentro” ogni essere umano ad uscire “fuori di sé”, quasi attratto da un altro, un’altra quasi alla ricerca di un “ambiente nuovo” dove lasciarsi andare ed esplorare le proprie capacità di essere libero, libera in/con/per un altro, un’altra da sé?

È un’esperienza che ci porta a picchi di felicità e precipitose cadute di delusione, sempre però alimentata da nuove aspettative, riciclandosi comunque e nonostante i presagi di morte nella fine di un amore.

Il semplice fatto che un essere umano abbia avanzato la pretesa di essere “Figlio unigenito e primogenito”, come se dicesse a ciascuno di noi: “mio fratello è figlio unico”, apre un varco nell’umanità e nell’intimo umano che rivela un orizzonte capace di contenere ogni relazione e di evidenziarne il senso e il valore, di facilitarne il successo, “un grembo paterno”.

Che tutto questo non avvenga in modo indolore ce lo dicono sufficientemente le nostre e altrui peripezie affettive; che il “Figlio/Fratello” le assuma volontariamente e liberamente nella sua massima estensione d’amore, chiede da parte nostra un atto di fiducia totale ed una disponibilità a provare sulla nostra pelle e sul nostro cuore quanto ciò sia umanamente possibile.

L’effetto, anche a lunga durata, è l’essere pervasi nuovamente dall’afflato vitale che in momenti di assenza ci pareva di asfissiare; da un’energia vitale che credevamo evaporata; da un fuoco interiore che sembrava estinto; da una luce pervasiva che illumina il nostro procedere, ora più sicuro… parliamo dello Spirito!

Con stupore ci accorgiamo che qualcosa di simile tra noi è avvenuto anche in altri e che quando diciamo Trinità, spesso senza saperlo purtroppo, intendiamo tutto questo!


Contestualizzazione evangelica di Giovanni 16,12-15

Lo Spirito della verità, vi guiderà nell’intera verità.

Come se Gesù riconoscesse la difficoltà dei discepoli a recepire tutto il suo insegnamento, forse anche per la loro immaturità (cf 16,12), affida allo Spirito della Verità di condurli “nella Verità tutta intera” (cf 14,25-26), di accompagnarli nella crescita progressiva sia del loro rapporto con Lui dopo la sua morte e risurrezione, sia della loro fede compresa e professata, in continuità con la sua rivelazione del Padre (cf v. 13a).

Lo Spirito illumina di nuova luce ciò che Gesù Cristo ha comunicato (cf 3,32; 7,17; 8,28; 12,49; 14,10) e permette ai discepoli di capire gli altrimenti incomprensibili e tragici accadimenti pasquali, con uno sguardo anche oltre, sul futuro delle comunità cristiane (cf 2,22; 12,16). 

Il verbo usato per tre volte è “annunciare”: “svelare/rivelare pienamente… ripetere”, una variegata azione dello Spirito nei confronti di Gesù e del Padre: v. 13b: annuncerà loro ciò che sta avvenendo; v. 14: condividerà con loro ciò che gli appartiene, manifestandolo appieno [glorificandolo]; v. 15: chiarirà a loro il suo appartenere al Padre, la comunione con Lui.

La Verità tutta intera” non è un compendio degli insegnamenti di Gesù o dei contenuti rivelati riguardo alla sua vita con il Padre, ma è la piena partecipazione alla vita filiale, finora sua esclusiva in quanto Figlio (cf 10,30; 17,10), comunicata anche ai discepoli e ai futuri credenti (cf 7,17s.; 8,26.28.38.; 12,49-50; 14,10).

Questo ci aiuta a capire che la Verità è un cammino e non un possesso; che la totalità non è una conquista ma una recezione poiché è del Logos il “farsi carne” e così continua come processo rivelativo sull’essere divino e sull’essere umano. Una verità da “fare” più che da sapere (cf 3,21).

Questa “rivelazione”, che solo lo Spirito può attuare, compie anche il processo di glorificazione di Gesù iniziato già nella sua esistenza terrena e compiuto nell’innalzamento sulla croce (cf 1,14; 2,11; 12,28-30; 17,1.4.5).

Lo Spirito ci accompagna in un percorso di comprensione, di comunicazione e partecipazione, rendendoci consapevoli della centralità del mistero pasquale nella messianicità di Gesù e nella nostra esperienza di fede.

Lo Spirito, forza vitale del Creatore, non ripete le cose del passato (cf Isaia 43,18-19), ma annuncia che saranno create nuove risposte alle attese e ai bisogni dell’umanità. Forza dinamica d’amore guiderà la comunità cristiana a scoprire modalità inedite e coraggiose” (A. Maggi);

nel difficile compito di unire la fedeltà alla novità, la memoria al rinnovamento… un ricondurre sempre a Gesù, al suo insegnamento… alla sua persona, il significato della storia che egli ha vissuto: è una conoscenza nuova, interiore e progressiva, ‘verso e dentro’ la pienezza della verità, dalla periferia al centro, è la capacità di leggere il presente alla luce della sua conclusione” (B. Maggioni).


Ambientazione liturgica

Può sembrare superfluo dedicare una festa liturgica alla “Trinità” quando tutta l’azione della comunità celebra il “rendimento di grazie” (eukaristìa) per il dono perenne che il Padre fa del suo Figlio crocifisso e risorto per amore dell’umanità, animato dalla potenza del loro Spirito. Tuttavia ci aiuta ricordare che la nostra esistenza e storia trovano senso, valore e piena realizzazione nel loro reciproco comunicarsi a noi, dono di Vita, Amoreche in-con-tra noi!

In noi perché lo è in se stesso; con noi in quanto comunione di persone, intercorrere di relazioni identitarie basate sul dono di sé che suscita reciprocità e realizza così l’unità.

Ogni espressione di vita è dunque celebrazione della Trinità e trova nella Liturgia la sua profetica trasfigurazione: amore che vuole donarsi e perciò sempre eternamente creativo. 

La riflessione sapienziale proietta il credente in un “eterno prima” ed anche i cristiani delle prime generazioni lo hanno creduto per Gesù in quanto Figlio (cf Giovanni 1; Efesini 1,3 ss.) vedendo in Lui, Parola eterna e vitale del Padre, e nella sua umanità il realizzarsi di quel progetto d’amore sapiente che da sempre sosteneva tutto e già era presente nella trama nascosta degli eventi più anonimi della progressiva formazione del cosmo [Proverbi I lettura].

Quella Parola eterna del Padre, quella Parola fatta carne, opera anche nell’oggi della Chiesa, del mondo e il loro Spirito effuso in e su noi ci annuncia che Egli è in mezzo a noi e ce ne fa riconoscere e attualizzare la presenza attraverso l’amore [Giovanni 16 – Evangelo]. 

Tra un abisso di fronte al quale le parole e le capacità umane di comprendere rimangono interdette e l’accettazione fiduciosa della prossimità a noi di tale mistero insondabile, il salto è operato non da noi ma dalla misericordia che annienta nell’amore del Nazareno e in Lui, Signore Risorto, manifesta la pienezza della sua presenza [Romani 5 – II lettura] (Comunità di Viboldone).

L’attuale riforma conciliare celebra ciclicamente ogni persona divina e in questo “anno C” lo Spirito santo, Colui che ci permette una conoscenza “personale” di Dio, conducendoci alla consapevolezza che Egli ha impegnato tutto se stesso con noi e continua farlo, anche se ci sembra di essere sopraffatti dalla nostra debolezza e siamo assaliti dalla tristezza come i discepoli di Gesù. La fiducia in Lui vincitore della morte fonda la nostra speranza e ci impegna nell’amore fraterno estensione di quello trinitario e compimento vero della nostra umanità.


Preghiamo con la Liturgia

Padre santo e misericordioso,
che nel tuo Figlio ci hai redenti
e nello Spirito ci hai santificati,
donaci di crescere in una speranza che non delude,
affinché abiti in noi la tua sapienza d’amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, 

tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, 

nell’unità del tuo Spirito, 

ora per l’eternità. Amen.


Vicina è la PAROLA 29 giugno 2025 Santi Apostoli Pietro e Paolo La chiave e la pietra

  Vicina è la PAROLA 29 giugno 2025 Santi Apostoli Pietro e Paolo Atti 3,1-10 / Salmo 18 / Galati 1,11-20 Giovanni 21,15-19 Atti 12,1-11 / ...