sabato 25 gennaio 2025

Vicina è la Parola 26 gennaio 2025 Domenica III/C – “della Parola” Una comunità “si forma” con l’ascolto

Vicina è la Parola

26 gennaio 2025

Domenica III/C – “della Parola



















Neemia 8,2…10 / Salmo 18

1Corìnzi 12,12-30

Luca 1,1-4; 4,14-21


Una comunità “si forma” con l’ascolto

Volendo assumere sempre di più la chiamata a essere una chiesa sinodale, crediamo che questo esiga anzitutto di mettere in evidenza il senso ed il valore del nostro essere convocati come comunità in ascolto soprattutto nell’assemblea liturgica domenicale e di come questa si formi e cresca proprio attraverso la proclamazione prima e la meditazione poi della parola evangelica.

Questo non ci limita solo a un atteggiamento cultuale e spirituale generico, ma persegue e prosegue un processo che ci aiuterà a diventare una comunità ermeneutica, non ospite, ma a proprio agio nella casa della Parola, come i primi discepoli di cui abbiamo viva testimonianza proprio nelle loro memorie evangeliche.

Nel giorno del Signore, la comunità radunata in assemblea liturgica, fa memoria della Pasqua di Gesù e nel momento del rito la Parola viene fatta risuonare nel presente per dare forma alla vita della stessa comunità in ascolto.

Così l’assemblea liturgica diviene comunità celebrante, meglio se non anonima, spersonalizzata e passiva, tutta ministeriale: il rito la fa diventare un cantiere liturgico, dove la comunità è invitata a interrogarsi su cosa il suo Signore le stia chiedendo di essere… fedeltà all’evangelo nel proprio singolare contesto storico e nelle diverse situazioni di vita.

Da: Lidia Maggi e Angelo Reginato

Vi affido alla Parola. Il lettore, la chiesa e la Bibbia” ed. Claudiana, 2017:

Riaprire, oggi, il cantiere-chiesa”, pp. 91 ss.


Contestualizzazione evangelica di Luca 1,1-4; 4,14-21

LUCA: un vangelo per la comunità, un Evangelo per tutti 

1. Da Marco a Luca

Sappiamo che il racconto di Gesù steso da Marco, tra il 50 e il 70 d.C. per la comunità di Roma e per coloro che si preparavano al battesimo, si diffuse ben presto all’interno delle altre chiese. Il suo schema narrativo, utilizzato tra le comunità palestinesi, diede origine al testo in aramaico di Matteo (Siria tra l’80 e il 90 d.C.). La sua lettura, nelle comunità di origine e di lingua greca, pervase dalla cultura ellenistica, si arricchì di nuovi elementi provenienti da una nuova fonte “Q” (1,1-3), dando così origine al racconto evangelico di Luca (Antiochia? 75 – 85 d.C.).

Infatti Luca esclude nella sua narrazione quanto potrebbe non interessare ai pagani di lingua greca (cf Marco 9,11-13.43.48; 13,22), spiega meglio quanto essi non potrebbero capire, o addirittura urterebbe la loro sensibilità (cf 8,43 con Marco 5,26).

2. L’Evangelo secondo Luca, una nuova narrazione?

Non si tratta di una domanda retorica o superflua, infatti è proprio Luca che vuole chiarire il perché di questa sua opera fin dall’inizio, con un prologo insolito per il genere evangelico (cf 1,1-4). Ormai i testimoni oculari della vicenda storica del Nazareno sono via via scomparsi e una “nuova generazione di cristiani” necessita di dare un fondamento solido a quanto “tramandato da principio” e di ritornare “dall’origine” a narrare di Gesù.

Luca, pur non avendo conosciuto Gesù, vuole “raccontare” mettendo al centro “gli avvenimenti portati a compimento tra noi” (cf 1,1), testimoniati e ormai accolti, che tuttavia vanno fondati e attualizzati affinché continuino a parlare a una nuova generazione di cristiani, probabilmente evangelizzati da Paolo e che rischiavano di perdere lo spessore storico e umano di Gesù. L’evangelo della “Parola fatta carne… storia”.

Ritornare all’origine”, non tanto per verificare l’attendibilità di quanto narrato dagli altri o fugare comprensibili dubbi o correggere eventuali errori (tra i quali quello già presente a Marco che l’annuncio cristiano si risolvesse in una proiezione mitologica di Gesù…), ma perché la fede ha bisogno di essere accolta come acqua che sgorga direttamente dalla sorgente, perché tutti possano sentirsi Teofilo, cioè amati personalmente da Dio, identificandosi poi con tutte le donne e gli uomini che lungo il suo racconto Luca fa incontrare con Gesù: le prostitute, la gente di cattiva reputazione, Zaccheo… In questo senso possiamo dire che Luca abbia pensato anche alle generazioni future di cristiani e quindi a noi.

Questa costituirà proprio l’originalità del nuovo racconto e anche il messaggio centrale di Gesù nazareno: “anch’egli è figlio” (cf 19,9); “questo mio figlio… è tornato in vita” (cf 15,24).

Si tratta quindi di ritornare al “primo annuncio”, come spesso richiama papa Francesco e come la Chiesa sta prendendo consapevolezza in questi anni.


Ambientazione liturgica

Neemia [I lettura] ci narra una commovente convocazione di ascolto per donne e uomini ritornati dall’esilio. Tutti ascoltano, a tutti viene spiegato, tutti sono travolti dal pianto di poter risentire come per la prima volta le parole della Torah: a tutti è dato da mangiare. Ma nessuno è colpevolizzato per la sciagura dell’esilio trascorso.

La gioia del Signore è la nostra forza!

Noi siamo abituati ad un augurio: “sia”. Invece per loro è stata una certezza. 

E per noi?

La Parola che il Signore ci dona, dono di se stesso, è fonte di gioia che vince la tristezza e la malinconia, infatti il Nazareno si presenta ai suoi non come un profeta ma come “parola divina umanamente compiuta” nella storia dell’umanità e nelle persone che la accolgono come annuncio liberante che le raggiunge nella marginalità e bassezza.

Nonostante le siamo sempre infedeli, essa è creatrice e comunicandosi inaugura un nuovo oggi di salvezza nella nostra quotidianità: ogni momento o situazione è l’oggi di Dio [Luca 1 e 4 – Evangelo]. 

Oggi” [sḗmeron] ricorre negli episodi evangelici “chiave” di Luca che danno attualità e contemporaneità alle azioni ed alle parole di Gesù (cf 2,11; 3,22; 4,21; 12,52; 13,32; 19,5.9; 23,43). Nella “comunità pasquale”, sono quelle del Risorto e del Signore che continua ad agire in ciascun credente e a donare a tutti la sua parola di salvezza (cf Ebrei 3,7-8; 4,7). 

Oggi indica anche l’attualità dell’agire storico di Dio: da Israele a Gesù; dai discepoli alla comunità di Luca; dal racconto evangelico fino a noi assemblea celebrante.

Così l’esistenza di ciascuno conosce un “ordine” nuovo determinato dall’atteggiamento di servizio anzitutto della comunità in cui essa assume valore nell’essere a disposizione gli uni degli altri [Paolo ai Corinzi 12 - II lettura], come quella del Signore, nelle situazioni di umana fragilità.


Preghiamo con la Parola

O Padre,

che in questo Giorno santo

convochi la tua Chiesa alla tua presenza

affinché il tuo Figlio annunci ancora il suo Vangelo,

fa' che teniamo il nostro sguardo su di Lui,

e oggi si compirà in noi e tra noi

la tua parola di salvezza.

Amen.


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 È interessante notare quante volte il Messale Romano utilizza “oggi” nell’eucologia dei grandi Misteri come Natività, Risurrezione, Ascensione. Cf CEI, Messale Romano - 3a Edizione. Roma 2020, Prefazi pp. 109, 337-338, 354, 368, 404, 488, 502, 531, 617; Orazioni pp. 39- 40, 118-119, 179, 180, 183, 239-240, 255-257, 311, 325, 528, Antifone pp. 37-39, 45, 615, 690.

Vedi anche le riflessioni di Valentino Bulgarelli, Il Giorno del Signore nell’opera lucana. Andria, VII Settimana biblica diocesana, 25 febbraio 2015.


venerdì 17 gennaio 2025

Vicina è la Parola 19 gennaio 2025 Manifestazione del Signore a Cana di Galilea/C Divagazioni coniugali sulle Nozze di Cana- Mancanza

Vicina è la Parola
19 gennaio 2025
Manifestazione del Signore
a Cana di Galilea/C

Isaia 621-5 / Salmo 95
1Corinti1 2,4-11
Giovanni 2,1-12
Divagazioni coniugali sulle Nozze di Cana
Mancanza
Non è solo il vino che può mancare a una festa nuziale, anzi quasi mai, 
ma dopo che la festa è finita sono molte, troppe le cose che possono venire a mancare
in una coppia nel loro menage quotidiano.
La brutta notizia non è questa, 
ma pensare che a noi non capiterà mai 
o addirittura far finta che non sia mai successo 
o non stia avvenendo proprio adesso.
Chi porta in luce questa mancanza non è un profeta di sciagure 
o di cattive notizie, ma addirittura “la madre di Gesù”. 
Un autentico sguardo materno si accorge delle mancanze 
senza lamentele o giudizi avventati, 
mentre noi siamo soliti accusarci vicendevolmente: 
E’ solo colpa tua…”. “Te lo avevo detto io…”. 
Non ti accorgi mai di niente…”. “Sei il solito finto tonto…”.
Ci vuole un’attenzione e una cura per l’altro, per l’altra, 
fatta di piccoli gesti per intuire e non nascondere soprattutto, 
le proprie debolezze e fragilità, facendo finta di niente.
Fate quel che vi dirà
Ci manca spesso e soprattutto la voglia di imparare.
È vero però che qualcuno ci in-segna qualcosa se lascia “il segno”, 
ma occorre anche saper ascoltare, che in latino è ob-audire e in italiano fa “obbedire”.
Siamo pronti a imparare gli uni dagli altri?
Lo dico da prete in riferimento alla mia comunità, 
ma lo puoi dire da marito nei confronti di tua moglie o dei tuoi figli.
Ma se la cosa migliore che sappiamo dire è “Sei sempre lo stesso…”. 
O peggio ancora: “Già lo sapevo che dicevi così…” dove pensiamo di andare?
Maria non ha paura di chiedere l’obbedienza dei servi a quello sconosciuto di suo figlio 
e nemmeno si arrende alla sua impertinente risposta.
Faticosamente, ma inesorabilmente si mette in moto la nuova economia del vino nuovo.
Che a un certo punto l’amore finisca è solo l’amara constatazione di micro perdite 
avvenute negli anni, perché è di Verdone che “l’amore è eterno finché finisce”.
Ma la cosa paradossale è che occorre proprio partire dai “vuoti”.
Nessuno è un vuoto a perdere
Già il 6 è il numero della “mancanza”, 
ma che, per risolvere il problema del vino finito, 
si debba partire dalle anfore vuote e per di più 
riempiendole d’acqua fino all’orlo è proprio paradossale.
Come li faremmo diversamente i miracoli noi umani!
Ma per il Signore nessuno di noi è “un vuoto a perdere” (canta Noemi).
Ripartiamo dai nostri vuoti e accettiamo di riempirli d’acqua.
Proprio vero che Lui non scarta nulla, 
ricicla tutto soprattutto i nostri fallimenti.
Si parte da qui, da dove è più scomodo senza vergogna o sensi di colpa, 
con semplicità e gratitudine.
Alla fine il meglio
Ciò che spiazza davvero non è quello che è avvenuto prima, 
e che in pochi sanno, ma che qualcuno se ne accorga 
e che riconosca che alla fine venga servito “il vino migliore”.
L’attesa di migliaia di anni, la promessa, l’alleanza… 
e noi non abbiamo la pazienza di aspettarci a vicenda, 
che l’altro o l’altra capisca, possa migliorare, cambiare!
Soprattutto, pur desiderandolo, non facciamo nulla, 
anzi a volte il contrario, perché questo avvenga.
Ti amerò sempre come il primo giorno”.
Troppo limitante!
Voglio amarti come l’ultimo giorno”.
Perché è così, alla fine si realizza la “pienezza”.
Contestualizzazione evangelica di Giovanni 2,1-12
Siamo nella “prima settimana” di “vita pubblica” di Gesù, come è raccontata nel vangelo secondo Giovanni: 
1,1-18: Introduce poeticamente la narrazione, dove tutti i “temi” fondamentali vengono anticipati. La Luce e la Vita sono esperienze umane che Dio privilegia per farsi conoscere e comunicare con gli esseri umani, attraverso la sua “Parola generata”, il Figlio. Nel Figlio che diventa “uomo/carne” abbiamo la possibilità di conoscerlo, di farne esperienza. Egli fa si rivela nella nostra umanità come amore gratuito e veritiero che ci consente [potere] di vivere da figlie e figli.
1,19-34: Giovanni che “immerge” nel fiume Giordano attesta che Lui ci “immerge in Dio” [Spirito]: è Lui l’Agnello di Dio!
1,35-51: Andrea, Simone, Filippo, Natanaele e lo stesso evangelista Giovanni sono i primi che diventano suoi discepoli, lo seguono perché da Lui si vedono “riconosciuti”. 
2,1-12: Essi cominciano a “credere” in Lui, invitati a una festa di Nozze nella quale Egli dona “il vino nuovo e migliore”.
vv. 1-2: Così, “il terzo giorno”, la “Festa di Nozze”, con tutti i significati che ha nella Scrittura e per Israele, è in realtà la nostra esistenza umana che racchiude la “nostalgia” e il “sogno” di sentirci amati infinitamente: credere in Gesù ci consente di scoprirlo e di vivere con la consapevolezza di poterlo realizzare, non solo desiderarlo. Nella vita non siamo solo “invitati” alle nozze (cf Matteo 22,1-14; Luca 14,16-24), ma ne siamo parte, siamo noi gli Sposi!
vv. 3-5: È plausibile pensare che il vino “mancante” sia il nostro bisogno di essere amati, sempre inadeguato alla nostra capacità di amare in realtà limitata. Ma succede che “il vuoto” che sperimentiamo dentro di noi (non hanno vino), la durezza del “cuore” (le giare di pietra), la percezione che manchi sempre qualcosa (6 e non 7), la banalità di quello che già sappiamo ([purificazione), l’inadeguatezza delle nostre forze (80-120 lt d’acqua) non siano un ostacolo al rinnovarsi del prodigio sempre nuovo dell’Amore!
vv. 6-10: C’è una fatica da fare, una parola di cui fidarsi, un momento, “ora”, da cogliere con stupore e riconoscenza.
vv. 11-12: Siamo solo all’inizio, poi di “segni” ce ne saranno tanti ma la difficoltà sarà sempre la stessa: ascoltare una voce, fidarsi di una parola, non nascondere i vuoti, valorizzare quello che siamo e abbiamo, sostenere la fatica, gustare il dono sempre nuovo, tornare a casa, non dire mai “basta”.
Ambientazione liturgica
Ricordiamoci che siamo nel “Tempo della Manifestazione del Signore”, la celebriamo nei “tria miracula”: l’Epifania ai Magi (6 gennaio) – il Battesimo nel Giordano (12 gennaio) e oggi le Nozze di Cana (19 gennaio) in cui Gesù Nazareno si manifesta come l’Inviato del Padre ai suoi discepoli in Cana di Galilea (cf Gv 2,11-12).
Così la liturgia ci fa pregare: “Nuovo prodigio a Cana: versan vino le anfore, si arrossano le acque, mutando la natura” (Inno dei Vespri). “Oggi la Chiesa… si unisce a Cristo, suo Sposo: …alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa, alleluia”. (Antifona al Benedictus)
Una comunità si forma e cresce riconoscendo ogni volta, nei segni della Parola e del Pane, lo Sposo che le ridona la sua identità di Sposa, profezia dell’Umanità rinnovata dalla sua Pasqua.
È il suo Amore, donato per tutti, la vera “gloria” che lo rivela a noi come Vita: pienezza di gioia effusa gratuitamente e senza distinzioni [Salmo 95 / 1Corinti 12 – II lettura], oltre ogni apparenza e impercettibile ai più come alleanza nuova e definitiva ben al di là di ogni nostra incapacità o infedeltà che non potrà mai più essere infranta [Isaia 62 – I lettura].
Preghiamo con la Parola
O Padre,
che ami immensamente
e che nel sangue di Cristo versato sulla croce
hai stabilito con il tuo popolo l'alleanza nuova ed eterna,
fa' che la Chiesa sia segno del tuo amore fedele,
e tutta l'umanità possa attingere
il vino nuovo nel tuo regno.
Amen.


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Anche Nada in una canzone “Vuoti a Perdere”, recita: “Che in fondo, poi, ti capisco Cristo era un figlio come te Lui era il figlio di Dio. Un folle che qualcuno chiama re”.


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