venerdì 19 luglio 2024

Vicina è la Parola 21 luglio 2024 / XVI Anno/B Tenerezza con chi è vicino Compassione per chi è lontano

Vicina è la Parola

21 luglio 2024 / XVI Anno/B
Geremia 23,1-6 / Salmo 22
Efesini 2,13-18
Marco 6,30-34

Tenerezza con chi è vicino
Compassione per chi è lontano
Contestualizzazione evangelica di Marco 6,30-34
Sembra quasi un “quadretto famigliare”: i discepoli che tornano da Gesù a raccontargli delle loro “imprese” per cui li aveva inviati (cf Marco 6,7-13 proclamato la scorsa domenica).
La scena emana infatti una profonda tenerezza: descrive Gesù “preoccupato” per la loro stanchezza, alla ricerca di un luogo “solitario” per loro, ma anche per se stesso dato che “era davvero tanta la folla che andava e veniva, e loro non avevano neanche il tempo per mangiare” e si presume forse nemmeno per dormire! (6,31).
La gente ha bisogno di loro… di Lui, non può farne a meno e sono sempre sulle loro tracce.
Alla loro vista, la tenerezza di Gesù si trasforma in compassione, una delle caratteristiche tipiche dell’amore del Signore per il suo popolo, soprattutto schiavo in Egitto (cf Esodo 2,24-25; Salmo 145).
Gesù “sente su di sé” la loro sofferenza e non si sottrae all’urgenza… in nessun momento; il suo sguardo è interiore e sa cogliere i veri bisogni dell’umanità per questo li “nutre” anzitutto con la sua parola, perché sono “smarriti” “come pecore che non hanno un pastore” (v. 34; cf Mt 4,23; 9,36).
Allora Egli non solo “si mise ad insegnare a lungo la riva del lago”, ma sazia in modo definitivo, “messianico”, la fame “esistenziale” di ogni essere umano (così come la sete in Giovanni 4,14; 6,35, 7,38).
Anche perché l’unico che in qualche modo si era preso cura di loro, Giovanni il battezzatore, era stato fatto uccidere da Erode (cf 6,17-29).
In Marco l’episodio seguente, della ripartenza sul lago (vv. 32-34), introduce “la prodigiosa distribuzione dei cinque pani e due pesci alla folla affamata” (cf vv. 35-44) che ascolteremo domenica prossima, ma nella versione di Giovanni 6,1-15 che sostituirà quella di Marco; anche lì, ma di seguito, si fa riferimento all’attraversata del lago ed alla ricerca di Gesù da parte della gente (cf 6,16-25) che gli darà l’occasione del lungo discorso sul “pane della Vita” ambientato nella sinagoga di Cafarnao e che noi ascolteremo dalla XVII alla XXI domenica (cf vv. 26-71).
Ambientazione liturgica
Una lettura superficiale ci poterebbe a pensare che loro, le pecore, ad essersi perdute (cf Matteo 18,12); invece sono state invece abbandonate e maltrattate, “disperse e lasciare morire” proprio da color che avrebbero dovuto invece prendersene cura da pastori e invece le hanno “scacciate”, allontanate da se stessi ma soprattutto dall’amore di Dio che però non le abbandona e interviene in loro favore, viene il loro soccorso come “vero pastore” (cf Luca 15,4-7), suscitando e inviando loro una guida adeguata [Geremia 23 – I lettura].
Basta leggere il capitolo 10 del vangelo di Giovanni per renderci conto del perché e di come Gesù di definisca “vero pastore” che realizza le profezie messianiche, in netta opposizione con il potere esercitato dalle autorità religiose, farisaiche in particolare, che si comportano nei confronti del popolo del Signore come “mercenari… ladri e briganti” e non da pastori (cf Ezechiele 34,1-10; Zaccaria 11,4…16; Giuditta 11,19).
Fuori metafora la realtà, come la descrive Paolo alla comunità cristiana di Efeso, è per più profonda ed universale.
Un “pastore” che conduce con la sua parola [Salmo 22] e che “riconcilia nel suo sangue”, così in se stesso ricostruisce l’unità del gregge disperso, con il dono della sua vita [Efesini 2,13 – II lettura].
Solo chi è disposto a donare la propria vita può fare da guida, da pastore.
Nell’esistenza “umano-divina” di Gesù, nella sua tenerezza e compassione, ogni separazione è ricucita, ogni distanza recuperata e l’umanità divisa ritrova la sua unità, così come ogni “stanchezza” è risanata.
È Colui che abbatte i muri delle nostre innumerevoli divisioni, volti diversi dell’unica inimicizia: l’egoismo autosufficiente. Nessun “golpe” o colpo di mano vistoso ed eclatante, semplici gesti di amicizia e di cura che possono sostenere il nostro anelito ed impegno di pace per un mondo pur sempre disgregato.
L’unica sua forza è la fiducia nel Padre, fonte di ogni vera giustizia, esente da ogni ostentazione di potere o di controllo sulle vicende mondane, che si traduce nella sollecitudine per le infermità della sua gente e nello smettere mai di rivolgergli parole di speranza e di gioia.
Costui e questa è la nostra pace!
A questa dobbiamo convertirci, cambiando la nostra mentalità, accettando anzitutto di essere pacificati dentro noi stessi e con gli altri in questo modo, di non avere altro motivo e forza per promuovere la pace, in mezzo alla stanchezza, al tempo perso, agli smarrimenti della nostra fragile umanità.
“Tutto ciò che è legge oppressiva diventa libertà, tutto ciò che è estraneità diventa un corpo solo. 
La sua compassione e non la nostra è nostra pace. 
Il suo corpo crocifisso e non il nostro è unificazione di tutto ciò che nella nostra corporeità resta ancora diviso.
Riconoscerlo… per abbattere tutti nostri “patteggiamenti” opportunistici più o meno camuffati di buone intenzioni”.
Preghiamo con la Liturgia
O Padre,
ci nutri con la Parola ed il Pane di Vita
ed offri alla tua Chiesa la confortante presenza
del Signore risorto,
Lui il vero e compassionevole pastore
che crea in se stesso la riconciliazione e la pace,
Egli vive con te, nello Spirito,
per sempre. Amen.


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