venerdì 31 maggio 2024

Vicina è la Parola 2 giugno 2024- Un unico Pane per un solo Corpo Incursioni eucaristiche nel vissuto umano, orizzonte vitale della capacità di dono Fame e sete… di cosa, di CHI?

Vicina è la Parola

2 giugno 2024

Esodo 24, 3-8 / Salmo 115

Ebrei 9,11-15

Marco 14,12-16.22-26

Un unico Pane per un solo Corpo 


Incursioni eucaristiche nel vissuto umano,

orizzonte vitale della capacità di dono


Fame e sete… di cosa, di CHI?

Di cosa abbiamo davvero fame? 

Si tratta solo di un istinto primario di sopravvivenza, oppure di una carenza o compensazione affettiva? I disturbi alimentari diffusi nella nostra società ce lo attestano: non è questione di appetito o di gusto.

Da dove la nostra fame o sete? Non è solo per una consapevolezza: in un contesto dove il superfluo sostituisce il necessario ed il bisogno viene indotto dall’offerta di mercato è più difficile capire cos’è essenziale per vivere; un malessere ne può indicare la mancanza, ma il percorso parte dalla ricerca di cosa valga davvero la pena di avere, a cui non si può rinunciare per vivere. 

Fame di vita e sete d’amore hanno un po’ sempre a che fare col cibo e ci indicano il “dono” che appaga (cf Giovanni 4,8.10.15,31-34). 

Questo processo inizia a svelarsi quando riusciamo a riconoscerla e a darle un nome; nel momento in cui ci accorgiamo che essa ci accomuna tra noi e che più ci separiamo cresce in modo insaziabile. 

La “beatitudine” di “chi avendo necessità -fame e sete- di un nuovo rapporto con Dio viene finalmente saziato” (Matteo 5,6) è un altro segno che “non di solo pane vive l’essere umano” (4,4)

Altro che “buco nello stomaco” da riempire… una voragine incolmabile che viene colmata (cf Luca 3,5)!

Anche condividere la fame ci fa apprezzare il “dono” del pane, quando Chi ce lo dona non ce lo paracaduta dall’alto, come “intervento umanitario” facendoci sgomitare per accaparrarcelo…, ma ce lo “offre” come dono d’amore (cf Giovanni 6,32.39) e dopo avercelo chiesto per condividerlo, per noi “lo/si” spezza donandoci una nuova identità che ci unisce tra noi facendoci prima assaporare il gusto della compagnia, della solidarietà, premessa profetica di quella divina.


Ambientazione liturgica


Celebrare solennemente una volta l’anno, il “mistero” che come “memoria” ed “evento” connota la quotidianità delle comunità cristiane, può avere il suo senso e il suo valore se ancora oggi, nel radunarci per la celebrazione domenicale, in quanto ci richiama a ciò che nella nostra esistenza quotidiana prende significato dalle parole e dai gesti eucaristici.

Celebriamo ciò che ci fa vivere, perché generati dall’amore di Colui che dona se stesso nel suo corpo e sangue, questo ci rende capaci di vivere in quell’amore che la comunione all’unico pane e all’unico calice ci donano.

I testi biblici di questa solenne domenica, che come sempre diffondono la loro luce per riflettere un aspetto delle variegate sfaccettature di questi “misteri”, ci fanno entrare nella dimensione di un’alleanza reale e indissolubilmente conclusa nel sangue di Cristo.

Si tratta di un “nuovo patto”, perché reale e definitivo [Marco 14 – Evangelo], non più celebrato come simbolo dal popolo nel cammino del deserto, dono di un Dio liberatore [Esodo 24,3-8 – I lettura] ma nell’esistenza di un Uomo, vissuta come dono fino all’estremo di sé: una vita interamente offerta come compimento storico e personale di un eterno e indissolubile legame d’amore al Padre [Ebrei 9,18 – II lettura].

Questa fedeltà rende il Figlio anche solidale e fedele al destino universale e personale di ogni essere umano, che in Lui potrà ritrovarsi figlio, figlia, sorella e fratello e con Lui finalmente appagati nel loro desiderio di Vita e di donazione nel servizio agli altri.

Ogni persona, “rinnovata interiormente” e che assume questo dono, perché assunta da chi lo dona, si ritrova rivivificata, capace di fedeltà al patto di Dio, all’Amore.

Comunichiamo ad una Vita donata per sempre che ci radica in un’alleanza nuova per un’esistenza nell’amore, unico e vero “culto in spirito e verità” al Vivente ed ai viventi, Corpo dato per corpi donati.


Preghiamo con la Liturgia

I tuoi gesti, le tue parole,

il pane fra le tue mani tremanti ma sicure

il loro calore trasforma la sua freschezza,

il suo sapore non è nuovo al palato

ma il gusto sa di buono.

Gli occhi lo vedono,

lo sguardo lo scruta

e intravvede ciò che gli occhi non scorgono: 

l’amore non si vede, ma si sente,

l’amore parla di sé amando

ed ha sempre il sapore del pane.


sabato 25 maggio 2024

Vicina è la Parola 26 maggio 2024 L’AMORE tra DIVERSI fa UNO Incursioni trinitarie nel vissuto umano, orizzonte vitale di relazioni interpersonali

Vicina è la Parola

26 maggio 2024



Deuteronomio 4, 32-34. 29-40 / Salmo 32

Romani 8,14-17

Matteo 28,16-20

L’AMORE tra DIVERSI fa UNO


Incursioni trinitarie nel vissuto umano,

orizzonte vitale di relazioni interpersonali

Le nostre esperienze di donazione, comunione, integrazione non sempre sono appaganti… eppure qualcosa o meglio Qualcuno “spinge da dentro” l’essere umano ad “uscire fuori di sé”, in un primo momento “attratto” da un* altr*, alla ricerca di un “ambiente” nuovo dove lasciarsi andare ed esplorare le proprie capacità di essere “liber* con” qualcun altr*. Un’esperienza che porta picchi di felicità e cadute di delusione, alimentata da sempre nuove aspettative, riciclandosi comunque e nonostante i presagi di morte nella fine di un amore.

Il semplice fatto che un essere umano abbia avanzato la pretesa di essere “Figlio unigenito e primogenito”, come se dicesse a ciascuno di noi: “mio fratello è figlio unico”, apre un varco nell’umanità e nell’intimo umano, rivela un orizzonte capace di contenere ogni processo relazionale, di evidenziarne il senso e il valore, di facilitarne il successo, “un grembo paterno”.

Che tutto questo non avvenga in modo indolore ce lo dicono sufficientemente le nostre e altrui peripezie affettive, ma che il “figlio/fratello” lo assuma volontariamente e liberamente come massima estensione dell’amore chiede da parte nostra un atto di fiducia totale ed una disponibilità a provare sulla nostra pelle e sul nostro cuore quanto sia umanamente possibile.

L’effetto, anche a lunga durata, è l’essere pervasi nuovamente dall’afflato vitale che in alcuni momenti di assenza ci pareva di asfissiare; da un’energia vitale che credevamo evaporata; da un fuoco interiore che sembrava estinto; da una luce pervasiva che illumina il nostro procedere, ora più sicuro… parliamo dello Spirito!

Lo stupore è accorgerci che qualcosa di simile è avvenuto anche in altri e tra noi e che quando diciamo “Trinità”, spesso senza saperlo purtroppo, intendiamo tutto questo!


Ambientazione liturgica


Può sembrare superfluo dedicare una festa liturgica alla Trinità, quando tutta l’azione della comunità celebra il suo “rendimento di grazie = eukaristìa” per il dono continuo che il Padre fa del suo Figlio crocifisso e risorto per amore dell’umanità è animato dal loro Spirito.

Tuttavia può aiutarci a ricordare che la nostra esistenza e la nostra storia trovano il loro senso, il loro valore e la loro piena realizzazione nel comunicarsi di Dio a noi, nel dono della sua Vita come non altro che Amore: Amore che in-con-tra noi!

In noi perché lo è in se stesso, con noi perché comunione di persone, tramite di relazioni nuove basate sul dono che suscita reciprocità e realizza l’unità.

È così che ogni espressione di vita è celebrazione della Trinità e trova nella liturgia la sua trasfigurazione.

Un Amore di prossimità e di misericordia che non rinuncia mai al suo intento di suscitare la Vita perché fin dal creare si dona e così l’universo è sempre nuovamente ricostruito, rinnovando il legame con la sua origine [Deuteronomio 4 – I lettura e Salmo 32].

Nella progressiva comprensione della vicenda terrena di Gesù, condotte alla sua piena comprensione dallo Spirito, le prime generazioni cristiane sono state introdotte nella “scoperta” di un “disegno/progetto” preesistente, operante nella trama degli eventi anche più anonimi e tumultuosi della storia individuale e universale (Colossesi 1,12-20).

Il suo Spirito rivela e comunica, partecipe di questa opera tra Padre e Figlio, rende partecipi anche noi di questo Amore. Anzi, per paradossale che sembri, sono i piccoli segnali di fraternità e di comunione a farci riconoscere la presenza operante delle “Tre Divine Persone” che la Parola, ancora una volta annunziata, attualizza.

La fragile ma rinnovata comunione tra i credenti è “il sigillo” che lo Spirito ha impresso nella stessa convivenza umana e proprio all’interno della nostra umanità ci fa “glorificare = rendere manifesta” questa meravigliosa opera trinitaria nella quale la nostra esistenza è contenuta e rivelata, e ci rende capaci, perché figli, di dire: “Abbà, Padre!” [Romani 8 – II lettura].

Cosa sostiene questa realtà insondabile e affascinante?

Una pretesa di onnipotenza o di riscatto?

Piuttosto, e ancora una volta, l’Amore di divina prossimità umana nella promessa del Nazareno ai suoi: “Io-sono-con voi per sempre!” fà sì che tutti possano essere “uno” tra i diversi “popoli, legati da un vincolo nuovo, fatti “discepoli e immersi” in una vita e in una comunione personale, trinitaria [Matteo 28,16-20 – Evangelo].


Preghiamo con la Liturgia


Sia benedetto Dio Padre
e l'unigenito Figlio di Dio
e lo Spirito anto;
perché grande è il suo amore per noi.


Voi siete figli di Dio:
egli ha mandato nei nostri cuori
lo Spirito del suo Figlio,

il quale grida: «Abbà! Padre!». 


sabato 18 maggio 2024

Vicina è la PAROLA 19 maggio 2024 Pentecoste dello Spirito La Verità della nostra esistenza umana: l’Amore. Lo Spirito testimonia e fa testimoni nel mondo.


Vicina è la PAROLA




19 maggio 2024 

Pentecoste dello Spirito

Atti 2,1-11 / Salmo 103

Galati 5,16-25

Giovanni 15,26-27;16,12-15


La Verità della nostra esistenza umana: l’Amore.

Giovanni 15,26-27

Lo Spirito testimonia e fa testimoni nel mondo.

È interessante che Giovanni collochi questa ulteriore promessa dello Spirito ai discepoli dopo 14,16-17.26 e prima di 16,13-15, nei vv. 26-27al centro della prima parte del cap. 15 dove si parla dell’odio del mondo (cf vv. 18-25 e 16,1-4a): il “Paraclito” quindi ha anzitutto il compito di testimoniare Gesù presso di loro e farli suoi testimoni proprio nel mondo, non come “realtà metafisica” (cf vv. 18a.19) ma sono coloro che non credono in Gesù e non conoscono il Padre (cf vv. 21-25; vedi anche: 8,23; 12,31; 14,17.30; 16,8.31; 17,9.14.16.25.).

Queste raccomandazioni non si esauriscono nel capitolo 15, ma proseguiranno anche nei primi vv. 1-3 del capitolo 16.

Se siamo autentici discepoli di Cristo è a causa sua o “del vangelo” che veniamo accolti o rifiutati (cf Mc 8,35; 10,29), ma soprattutto in quanto figli perché addirittura non è riconosciuto nemmeno il Padre!

Sono parole che potrebbero dare anche ai credenti perseguitati una valida motivazione per cui valga la pena di soffrire. Non si tratta solo di arginare un facile idealismo o di un prudente realismo, è piuttosto un incentivo ad “amare di più! oltre le proprie capacità e possibilità, con la forza dello Spirito della Verità che Gesù invierà dal Padre

Signore Gesù, donami lo Spirito Paraclito 

che viene dal Padre affinché io non mi scandalizzi

per l’odio del mondo mai impari ogni giorno ad amarlo 

come hai fatto Tu, rivelandoci il vero volto di Dio: Amore!


Giovanni 16,12-15

Lo Spirito della Verità, vi guiderà nell’intera verità.

Come se Gesù riconoscesse la difficoltà dei discepoli a recepire tutto il suo insegnamento, forse anche per la loro immaturità (cf v. 12), affida allo Spirito della Verità di condurli “nella verità tutta intera” (cf 14,25-26) ed accompagnarli così nella crescita progressiva sia del loro rapporto con Lui dopo la sua morte – risurrezione, sia della loro fede compresa e professata, in continuità con la sua rivelazione del Padre (cf v. 13a).

Lo Spirito ora illumina di nuova luce ciò che Cristo ha già comunicato durante la sua missione (cf 3,32; 7,17; 8,28; 12,49; 14,10) e permette ai discepoli di capire gli altrimenti incomprensibili e tragici accadimenti pasquali, con uno sguardo anche oltre, sul futuro delle comunità cristiane (cf 2,22; 12,16). 

Il verbo usato, per ben tre volte, è “anaghèllein” che equivale ad annunciare ma anche svelare/rivelare pienamente/ripetere, e spiega la variegata azione dello Spirito nei confronti di Gesù e del Padre: v. 13b: annuncerà loro cioè che sta avvenendo

         v. 14: condividerà con loro ciò che gli appartiene glorificandolo

         v. 15: chiarirà a loro il suo appartenere al Padre la comunione con Lui

La Verità tutta intera non è un compendio degli insegnamenti di Gesù o dei contenuti rivelati riguardo alla sua vita con il Padre, ma è la piena partecipazione alla vita filiale, finora sua esclusiva in quanto Figlio (cf 10,30; 17,10), comunicata anche ai discepoli e ai futuri credenti (cf 7,17s.; 8,26.28.38.; 12,49-50; 14,10).

Questo ci aiuta a capire che la Verità è un cammino e non un possesso; che la totalità non è una conquista ma una recezione poiché è del Logos il “farsi carne” e così continua come processo rivelativo sull’essere divino e sull’essere umano. Una verità da “fare” più che da sapere (cf 3,21).

Questa “rivelazione”, che solo lo Spirito può attuare, compie anche il processo di glorificazione di Gesù iniziato già nella sua esistenza terrena e compiuto nell’innalzamento (cf 1,14; 2,11; 12,28-30; 17,1.4.5).

Lo Spirito ci accompagna in un percorso di comprensione, di comunicazione e partecipazione, rendendoci consapevoli della centralità del mistero pasquale nella messianicità di Gesù e nella nostra esperienza di fede.

“Lo Spirito, forza vitale del Creatore, non ripete le cose del passato (cf Is 43,18-19), ma annuncia che saranno create nuove risposte alle attese e ai bisogni dell’umanità. Forza dinamica d’amore guiderà la comunità cristiana a scoprire modalità inedite e coraggiose”, “nel difficile compito di unire la fedeltà alla novità, la memoria al rinnovamento…; un ricondurre sempre a Gesù, a quell’insegnamento che è Gesù. Infatti, ciò che importa capire è la persona di Gesù, il significato della storia che egli ha vissuto: è una conoscenza nuova, interiore e progressiva, verso e dentro la pienezza della verità [hodeghései eis], dalla periferia al centro, è la capacità di leggere il presente alla luce della sua conclusione” (A. Maggi e B. Maggioni).

Donami il Consolatore, Signore, 

per credere alla vittoria della tua Croce 

e vivere nel tuo amore di Figlio per il Padre 

ed i miei fratelli e sorelle.


Ambientazione liturgica

A cinquanta giorni dalla Pasqua, la Chiesa annuncia l’invio dello Spirito e il dono che anima la sua esistenza. Ha voluto così stabilire in questo giorno l’effusione dello Spirto sugli apostoli e il loro mandato per essere testimoni della vita, morte e risurrezione del Signore a tutti, senza distinzioni [Atti 1 – I lettura].

Le liturgie di questo “cinquantesimo giorno”, da quella vigiliare (che vuole parzialmente ricalcare quella della veglia pasquale priva però di simboli e riti originali) a quella dei vespri conclusivi, pongono l’accento sulla “pienezza”, non solo del mistero pasquale ma di tutta la storia della salvezza nella creazione e nell’umanità.

Lo Spirito, che dalla creazione anima l’azione di Dio, pervade ora di sé, liberamente ed efficacemente, l’esistenza “carnale” di ogni credente e dell’intera umanità, una presenza che fino alla fine continuerà a far lievitare la storia universale. [Salmo 103].

È anche il punto di partenza di una presa di coscienza nuova: lo Spirito del Risorto dona a ciascuno la capacità di essere e di vivere ciò per cui Egli ha dato la sua vita, non per sé ma per il bene di tutti [Galati 5 - II lettura]

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