sabato 22 luglio 2023

Vicina è la PAROLA 23 Luglio 2023 XVI Domenica dell’anno/A A braccia aperte

Vicina è la PAROLA

23 Luglio 2023
XVI Domenica dell’anno/A
Sapienza 12,13.16-19 / Salmo 85
Romani 8,26-27
Matteo 13,24-43
A braccia aperte
Nella lingua italiana quando diciamo “disarmato” intendiamo che non sta imbracciando nessuna arma offensiva, preferisco che il termine si riferisca alle “braccia spalancate” e quindi inoffensive (arm in inglese è appunto braccia; unarmed disarmato). A braccia aperte possiamo appunto abbracciare chi ci viene incontro come un amico, un fratello o una sorella.
Può anche essere istintivo, in realtà è frutto di una consapevolezza maturata col tempo che anzitutto non abbiamo nulla da temere e che “il nemico”, come scrive Etty Hillesum (Middelburg 1914 – Auschwitz 1943) va anzitutto vinto dentro di noi.
Ah, alla fine abbiamo proprio tutto dentro di noi, Dio, cielo, inferno, terra, vita, morte ed epoche, molte epoche. Un’instabile scenografia e rappresentazione delle circostanze non sono mai così decisive, in quanto ci potranno sempre essere delle circostanze, buone e cattive, e questa realtà delle circostanze buone e cattive, deve essere accettata, e questo non impedisce che ci si dedichi a migliorare quelle cattive. Si deve sapere però per quali ragioni si lotta, e si deve cominciare da se stessi, ogni giorno ancora da se stessi” – 3 luglio 1942.
Bisogna vivere con se stessi come se si vivesse con un’intera folla di persone. E si impara allora a riconoscere in se stessi le caratteristiche buone e cattive dell’umanità” – 22 settembre 1942.
La barbarie nazista risveglia in noi una barbarie identica, che utilizzerebbe gli identici metodi… questa barbarie dobbiamo rifiutarla dentro di noi, non dobbiamo coltivare in noi questo odio, altrimenti il mondo non verrà fuori d’un passo dal fango” – 15 marzo 1941.
Contestualizzazione evangelica di Matteo 13,24-43
Dopo le parabole sulle dinamiche “della diffusione e crescita del regno di Dio” nella predicazione del nazareno ed in quella delle prime comunità cristiane soprattutto in un contesto problematico e polemico di “fallimento ed insuccesso” (Domenica XV/A – Mt 13,1-23), ne seguono tre riguardanti la presenza dei credenti e delle comunità ecclesiali nel mondo, inteso soprattutto come convivenza sociale (vv. 24-43). Poi altre tre, molto brevi, ma suggestive per contenuto e linguaggio: Il tesoro nascosto (v. 44), la perla preziosa (vv. 45-46), la rete da pesca (vv. 47-50). La conclusione ci riporta al motivo di fondo a tutte sulla “comprensione delle parabole” (v 51) e sul discepolo che acquisita questa capacità ora diviene il “nuovo maestro della nuova Torah” (v. 52).
Il brano evangelico proclamato in questa domenica è costituito da tre racconti parabolici: buon seme e zizzania (vv. 24-30); la senape (vv. 31-32); il lievito (v. 33); perché le parabole (vv. 34-35); spiegazione ai discepoli della prima (vv. 36-43). Forse la redazione di questo capitolo è avvenuta in varie fasi, anche condizionata dagli sviluppi interni alla comunità di Matteo e dai suoi rapporti con la società circostante (cf dal v. 36 in poi). Il capitolo risulta così abbastanza dinamico.
Della narrazione dei vv. 24-43 cogliamo solo alcuni elementi: l’intenzionalità di ogni essere umano, del credente in particolare, di fare cose belle e buone nella sua esistenza e l’operato malevolo e opposto di un nemico nel medesimo contesto; la reazione impulsiva di estirpare i segni del male e l’intervento invocato di chi possiede lo svolgersi della vicenda [padrone] ad avere pazienza e fiducia in un finale risolutivo della storia umana con un buon raccolto e la distruzione del male.
Anche se la comunità cristiana nella società non ha nessuna apparente grandezza, allora come oggi mediocre nella sua testimonianza, ha però un potere straordinario di diventare “casa per tutti” (vv. 31-32), la sua presenza nascosta agisce infatti come “lievito nella massa”, per una forza interna e sproporzionata che rende poi tutto commestibile e nutriente (v. 33).
L’esperienza dei credenti e delle loro prime comunità è coerente e connessa con l’agire di Gesù e soprattutto con il progetto messianico, apparentemente fallito: proclamare ciò che nella storia dell’umanità è “nascosto” e già operoso e vitale (cf vv. 34-35 / Salmo 78); non solo nel percorso storico dell’umanità ma compreso, soprattutto dai discepoli (cf v. 36), come volontà di far prevalere il bene di tutti e in tutti: un buon fine rivelato però alla fine nel suo compimento (cf vv. 37-43).
Intanto l’amore è sempre all’opera anche quando l’essere umano è inattivo o in opposizione: sta sotto tutto e inarrestabile tutto fa crescere fino alla piena maturità, a noi non far ci prendere dall’impazienza o dalle frettolose conclusioni.
Ambientazione liturgica
La comunità che si raduna per celebrare l’eucaristia domenicale non può certo vantare spesso grandi successi e risultati pastorali: arriviamo tutti un po’ affaticati dalla settimana, spesso poco motivati e poco propensi a farci mettere in discussione dalla Parola che ci viene proclamata.
Eppure nella preghiera, sperimentiamo ogni volta “una forza interna” che nonostante i nostri limiti e fallimenti umani è capace di “liberare possibilità inaudite di vita in situazioni umanamente prive di speranza. Il Soffio vitale di Dio scruta in noi, conosce gli esseri umani ed ha il potere di salvare la nostra debolezza dalla pretesa di trasformazioni prodigiose” e di risultati immediati [Romani 8 – II lettura].
La misericordia del Padre, a cui ci affidiamo fin dall’inizio della celebrazione [Salmo 85] e nell’embolismo dopo il Padre nostro, ci “libera dai nostri umani fallimenti e sicuri da ogni turbamento… nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo”.
I deboli ma efficaci segni eucaristici come vitalmente agiscono in noi così ci permettono di stare “nel mondo” accoglienti verso tutti, in fermento per ogni traccia di bene [Evangelo].
Accogliendo l’Uomo che si lascia ridurre a seme gettato a terra, con la sua vicenda pasquale (cf Giovanni 12,24-26), diventiamo discepoli suoi e servi per amore di ogni essere umano riconosciuto come amato, quindi amabile [Sapienza 12 – I lettura].
Preghiamo con la Liturgia
Ci sostengano sempre, o Padre,
la forza e la pazienza del tuo amore,
perché la tua parola, seme e lievito del regno,
fruttifichi in noi
e ravvivi la speranza
di veder crescere l'umanità nuova.
Amen.

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