VICINA È LA PAROLA
29 GENNAIO 2023
DOMENICA IV ANNO A
Sofonia 2,3; 3,12 / Salmo 145
1Corinti 1,26-31
Matteo 5,1-12a
Beati…
cioè felicemente realizzati
“Beato te!”.
Un apprezzamento che non ho mai gradito perché forse motivato dall’invidia o dal sottovalutare la situazione altrui anche supportata da una scarsa reale conoscenza o da una sopravvalutazione dei propri problemi. Comunque sentirsi appellati così è davvero una magra consolazione.
“Fortunato te!” è il vero senso di quanto si vuol dire, il che è anche peggio perché discrimina fatalisticamente: “Io? …e gli altri?!”.
“Beati voi!”.
Lo ascoltiamo ancora nel vangelo proclamato in questa domenica.
Una “beatitudine” rivolta all’assemblea che ascolta, ma che riguarda in realtà ogni essere umano che si riconosca nelle “nove” situazioni esistenziali descritte.
Chissà cosa avrà voluto davvero dire Gesù ai suoi discepoli da definirli così con lo sguardo però rivolto alle folle che lo seguivano.
Quante volte le abbia interpretate come “ingenue” esclamazioni che “il mondo” non è in grado di capire o come l’ennesimo conforto ultraterreno ad un’esistenza vissuta nelle privazioni e nella tristezza: la rivincita dei perdenti!
Contestualizzazione evangelica
Una cosa che stupisce nella narrazione evangelica di Matteo è la repentinità della proclamazione delle Beatitudini in un contesto che ci ha presentato il sintetico insegnamento Nazareno sulla definitiva prossimità del regno di Dio (cf 1,17.23) ed in modo incisivo la sua azione curativa (cf vv. 23-24).
È proprio questo atteggiamento verso le molte folle che sono sotto lo sguardo di Gesù che prende voce (cf v. 2) e costituisce la portata messianica contenuta nelle enunciazioni: Egli proclama ad alta voce quello che è in effetti il suo modo di considerare l’esistenza umana e di viverla. Infatti, il suo non è un “proclama” o un “manifesto teorico”, bensì la reale possibilità, da Lui innanzitutto vissuta e inaugurata, di un’esistenza “felice subito… anche se non del tutto” [Luis EVELY].
Accettare questo “realismo evangelico”, non con rassegnazione ma con responsabilità, costituisce proprio il contenuto della prima beatitudine, quella della “povertà” (cf 5,3). La comunità palestinese, contesto esistenziale del racconto evangelico matteano, ha sicuramente fatto nella sua pur breve esistenza l’esperienza di una vita cristiana connotata dalla gioia pur tra le insidie causate dall’aver aderito a questa nuova proposta religiosa. La comunità delle
beatitudini non è certo un gruppo di esaltati o di ingenui sognatori di un mondo anestetizzato dalle problematiche storiche e sociali. È una comunità dove ai piccoli ed ai poveri è riconosciuto il loro valore e la loro dignità (vedi tutto il capitolo 18!).
Questo è stato il modo di pensare e di vivere di Gesù stesso, figlio del Padre (cf 11, 29), che chiama anche noi ad assumerlo ed a farlo nostro [la conversione di 4,17a], e che abbiamo visto subito possibile nella vicenda dei quattro pescatori di Cafarnao, con la loro libertà e prontezza nel seguirlo (cf vv. 18-22).
La povertà non è di per sé fonte di felicità come non lo è la ricchezza di insoddisfazione! La Beatitudine evangelica ci chiede e ci consente di non essere ingenui, ma nemmeno ipocriti: ricchi pur di aiutare i poveri e poveri maledicendo i ricchi…
Non dobbiamo rinunciare ad essere felici nelle diverse o avverse situazioni della vita anche se non lo possiamo essere completamente.
Ambientazione liturgica
“Beato chi siede nell’assemblea dei giustificati” (Salmo 1)
Questa parafrasi del Salmo ci descrive nel momento del culto: siamo insieme, in compagnia di altri, salvati. Non dimentichiamo mai questo inizio del salterio poiché è il nostro inizio liturgico: siamo riuniti perché salvati (cf Apocalisse 7) questa è già la nostra beatitudine! “Beati coloro che ascoltano e osservano la Parola di Dio” (Luca 11,28)
Anche questo è da ricordare bene quando ascoltiamo le letture nella liturgia della Parola: siamo beati perché possiamo ancora ascoltarle, insieme… ma molto di più quando potremo praticarle.
È la beatitudine evangelica che ci dà il senso ed incarna l’attualità dell’esperienza del popolo ormai sull’orlo della rovina per la sua presunzione di “farsi grande” in mezzo agli altri, dimenticando di essere stato liberato dalla schiavitù del potere umano per la potenza della Parola. Sofonia annuncia l’incedibile: solo i poveri possono essere salvati. [I lettura]
Ancora nella comunità cristiana serpeggia la stessa tentazione: confidare nella propria presunta ricchezza e sapienza. Ad essa Paolo annuncia che Dio sceglie i poveri in quanto capaci, vuoti di sé, di accogliere l’amore che si fa altro da sé. [II lettura] (COMUNITÀ DI VIBOLDONE) “Beati gli invitati alle cena di nozze dell’Agnello” (Apocalisse 19,1 ss.)
Certo non ne saremo mai abbastanza degni, ma possiamo dirci beati di essere stati invitati e di aver accettato l’invito!
Beati coloro che si fidano solo di Dio
perché Lui è già tutto per loro.
Beati coloro che soffrono molto
perché sarà Dio a consolarli.
Beati coloro che non sono prepotenti
perché Dio donerà a loro un mondo migliore.
Beati coloro che desiderano
e cercano ciò che vuole Dio per noi
perché Lui per primo realizzerà i loro desideri.
Beati coloro che provano amore e tenerezza per gli altri
perché Dio avrà a cuore la loro miseria.
Beati coloro che sono semplici e sinceri
perché Dio si farà conoscere a loro.
Beati coloro che realizzano la pace
perché Dio li considererà suoi figli.
Beati coloro che sono maltrattati
per aver compiuto la volontà di Dio
perché Lui è già tutto per loro.
Beati noi perché Lui ha Parlato
RispondiElimina