venerdì 25 marzo 2022

“LE PAROLE…LA PAROLA” 27 MARZO 2022 - IV QUARESIMA / C Ritornare a CASA

LE PAROLE…LA PAROLA” 
27 MARZO 2022 - IV QUARESIMA / C 


Giosuè 5,9a.10-12 
Salmo 102 
2Corinzi 5,17-21 
Luca 15,1-3.11-32 
Ritornare a CASA 
Se non è facile “essere genitori”, non lo è di meno “essere figli”. 
O meglio “vivere da figli e da figlie” nel momento in cui ci si rende conto chi siano il proprio  padre e la propria madre… Allora anche la casa può diventare una “prigione” o può essere vissuta  come un “albergo”, comunque non si vive da figli, non ci si sente amati. 
Addirittura per millenni, prima di Cristo, gli esseri umani hanno vissuto da “sottomessi” il  loro rapporto con Dio; dopo che Gesù Nazareno -riconosciuto dai suoi come Figlio di Dio- ha fatto  scoprire loro la “figliolanza” (cf Giovanni 1,11-14.18) ha dato anche loro la paradossale possibilità di  dichiararne “la morte” [vedi FRIEDRICH NIETZSCHE, in La gaia scienza e Così parlò Zarathustra]. 
Tutto cambia quando si rientra in contatto con se stessi, con la propria interiorità e la propria  vera identità, dopo essere stati lontani dal senso e aver vissuto in modo folle, dissennato,  estraniandosi da se stessi. Ogni fuga dalla realtà si infrange contro un’illusione che prima o poi  delude amaramente finché non si riesce a dargli il nome giusto, a riconoscere la verità. 
Luca 15,11-32 / La casa 
Nella originalissima e toccante parabola (15,11-32), Luca nomina solo il padre, la madre  sembra assente… ma a ben vedere egli ama in modo materno, con “viscere di misericordia” [in  ebraico: rechem=amore viscerale]. Il racconto è preceduto da altre due parabole di cui, nella prima  il protagonista è un uomo [il pastore che cerca la pecora perduta 15,3-7] e nella seconda una  massaia [che cerca una moneta perduta in casa vv. 8-10] tutto questo non solo per “parità di  genere”, ma per trasmetterci l’esperienza totalizzante di essere amati da Dio. 
Tuttavia nella parabola non scorre un improbabile “buonismo”, ma viene in evidenza fin  dall’inizio la difficoltà di riconoscere e comprendere l’amore, di rimanere liberamente legati ad un  rapporto d’amore che sia familiare, amicale, di coppia.  
In realtà la parabola illustra il dramma dell’essere umano e dell’umanità di sentirsi accolti in  un “grembo di misericordia” che ci genera alla libertà di amare gratuitamente. Il figlio minore, con la sua pretesa di indipendenza, rifiuta la stessa presenza del padre nella  sua esistenza decretandone la “morte” pur di possederne la “vita” [tòn bìon v. 13] ma così andrà  incontro alla morte [nekròs v. 24]. 
Il figlio maggiore invece continua a vivere nella casa paterna, ma come un servo salariato  [doulos v. 29] e non riesce nemmeno ad immaginare che il padre lo ami solo perché è “suo figlio” [téknon v. 31]. Il che lo rende lo rende spietato verso il più piccolo, svergognandolo davanti al padre.  Il suo atteggiamento corrisponde a quello di scribi e farisei che hanno provocato Gesù a raccontare  le tre parabole, criticato perché i peccatori gli si avvicinano per ascoltarlo, Lui li accoglie e mangia  con loro (cf vv. 1-3). 
Ma ancora meglio, la parabola ritrae questo padre che “vide da lontano, ne ebbe  compassione [esplaghnisze, come ad una madre che si rompono le acque per il parto], corse  incontro, si gettò al collo e lo baciò”. E infine, sordo alle opportunistiche dichiarazioni di pentimento  del figlio ritornato e ancora ancorato al suo passato (cf vv. 17-20.21), è già proiettato verso il futuro:  lo fa rivestire come per il giorno delle nozze e fa preparare la festa nuziale dichiarandolo “risorto
(cf vv. 22-24). Per lui non è mai stato lontano [asòtos cf v.13], è stato sempre figlio poiché lui non  ha mai smesso di essere padre, e quindi di amarlo. 
Non meno amore ha per il figlio maggiore: anche a lui esce incontro per convincerlo ad  entrare, anzi lo supplica in un atteggiamento orante che dovrebbe convincerlo a lasciarsi  raggiungere anch’egli dall’ininterrotto flusso di amore che finora lo ha tenuto in vita nella casa in cui  si sentiva un dipendente. Un padre che ama come una madre. 
Il tutto non segue la sequenza peccato-pentimento-conversione, ma si incontra con un  diverso insensato atteggiamento paterno-materno: il perdono genera il pentimento. Un amore simile non può essere determinato da nessun pentimento ed è l’unico che può far  rileggere la propria vicenda alla luce dell’amore paterno che, come quello di una madre, non potrà  mai venir meno (cf Isaia 49,14-16). 
Il finale però è a sorpresa: accetterà il figlio maggiore di partecipare alla festa? 
Contestualizzazione liturgica 
A cammino ormai inoltrato del nostro itinerario quaresimale, la Liturgia ci fa già intravvedere  la meta, che già fin da ora, in ogni passo ed in ogni istante della nostra esistenza umana è al nostro  fianco, ed in ogni vita ci accompagna: l’amore del Padre, la vera “terra promessa” in cui festeggiare  eternamente. 
Oggi, domenica di Laetare [dalla prima parola dell’antifona d’ingresso: “Rallegratevi” (cf  Isaia 66,10-11)], anticipa l'esultanza pasquale nel condividere la gioia del Padre che ci accoglie e fa festa per noi suoi figli ritornati nella sua casa. È una festa nuziale: la chiesa “sposa e madre” ci nutre  con la Parola e il Pane della Vita. 
Così nella I lettura/Giosuè 5,9…12 che narra della “prima pasqua” celebrata dal popolo di  Israele nella terra dei propri antenati, Canaan. Come “figlio di Dio” (cf Esodo 4,22, Osea 11,1) egli  entra nella “casa” che il Signore ha preparato per lui dopo averlo fatto uscire dall’Egitto, “casa della  schiavitù”. D’ora in poi la Pasqua diventerà la festa che celebra la gioia della liberazione, anche se  Israele correrà sempre il rischio di vivere come un “suddito” e non come amato (cf figlio maggiore 
della parabola lucana). 
Riecheggia sulle nostre labbra la lode e il ringraziamento del Salmo 33: “Ho cercato il Signore  e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato… Lo benedirò! Celebrate con me il Signore!”  Espressioni di gioia e di riconoscenza nella nostra celebrazione pasquale che festeggia la gioia  ritrovata per la vita che non si ferma mai perché l’amore è più forte di ogni morte. 
È l’esperienza di essere nuove creature che l’apostolo Paolo ricordava ai cristiani di Corinto  (2Cor 5,17-21/II lettura): “lasciarci riconciliare con Dio” che già lo ha fatto mediante Cristo con la  forza del suo amore misericordioso, sorgente zampillate di eterna novità. 
A questa forza possiamo solo “lasciarci andare”, farci riconquistare e riconciliare con la vita,  con noi stessi, con l’amore che sempre opera per primo, riconosciuto nella trama dei fatti quotidiani  e di fronte a cui siamo posti: riconoscerci prodighi e accettare la gioia del Padre, o presumerci giusti  e scandalizzarci di Lui? 
In preghiera con la Liturgia 
O Padre, 
che nel tuo Figlio crocifisso e risorto 
offri a tutti i tuoi figli e figlie 
l’abbraccio della riconciliazione, 
vinci ogni nostra chiusura 
e facci capaci di accoglierci e di perdonarci 
festeggiando insieme e con gioia 
la Pasqua dell’Agnello. 
Tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, 
nell’unità de tuo Spirito, ora per l’eternità. Amen.

sabato 19 marzo 2022

“LE PAROLE…LA PAROLA” 20 MARZO 2022 - III QUARESIMA / C CONVERSIONE alla REALTA’

LE PAROLE…LA PAROLA” 
20 MARZO 2022 - III QUARESIMA / C 
Esodo 3,1…15 
Salmo 102 
1Corinzi 10,1…12 
Luca 13,1-9 
CONVERSIONE alla REALTA’ 
[Dal Messaggio dei Vescovi italiani per la Quaresima 2022] 
Quaranta giorni non sono tanto l’occasione per rilevare i problemi quanto piuttosto per  vivere il mistero pasquale di Gesù, morto e risorto. Sono giorni in cui possiamo convertirci ad un  modo di stare nel mondo da persone già risorte con Cristo (cf Colossesi 3,1). 
Una conversione, urgente e importante in questa fase della storia, in particolare per le Chiese  che si trovano in Italia: conversione all’ascolto, alla realtà e alla spiritualità. Conversione alla realtà 
Il Dio cristiano è il Dio della storia: Di certo la presenza del Figlio di Dio tra noi è stata la  prova definitiva di quanto la storia degli umani sia importante per il Padre. 
Non cediamo alla tentazione di un passato idealizzato o di un’attesa del futuro dal davanzale  della finestra. 
La fede non è una bacchetta magica. 
Quando le soluzioni ai problemi richiedono percorsi lunghi, serve pazienza, la pazienza cristiana, che rifugge da scorciatoie semplicistiche e consente di restare saldi nell’impegno per il  bene di tutti e non per un vantaggio egoistico o di parte. 
Come comunità cristiana, oltre che come singoli credenti, dobbiamo riappropriarci del  tempo presente con pazienza e restando aderenti alla realtà. Sentiamo quindi urgente il compito  ecclesiale di educare alla verità, contribuendo a colmare il divario tra realtà e falsa percezione della  realtà. 
Conversione alla spiritualità 
I discepoli di Gesù hanno continuato a vivere la loro vita in quel contesto storico, con tutte  le sue contraddizioni e i suoi limiti: ma la sua compagnia ha modificato il modo di essere nel mondo.  Il Maestro di Nazareth ha insegnato loro a essere protagonisti di quel tempo attraverso la fede nel  Padre misericordioso, la carità verso gli ultimi e la speranza in un rinnovamento interiore delle  persone. 
Dopo la sua morte, dall’assenza fisica di Gesù è fiorita la vita eterna del Risorto e la presenza  dello Spirito nella Chiesa (cfr. Giovanni 14,16-18; Atti 2,1-13). Lo Spirito domanda al credente di  considerare ancora oggi la realtà in chiave pasquale, e non come la vede il mondo: per il discepolo  una sconfitta può essere una vittoria, una perdita una conquista. 
Cominciare a vivere la Pasqua significa considerare la storia nell’ottica dell’amore… portare  la croce propria e altrui. Lo Spirito infatti non aliena dalla storia: mentre radica nel presente, spinge  a cambiarlo in meglio. Per restare fedeli alla realtà e diventare al contempo costruttori di un futuro  migliore, si richiede una interiorizzazione profonda dello stile di Gesù, del suo sguardo spirituale,  della sua capacità di vedere ovunque occasioni per mostrare quanto è grande l’amore del Padre. 
Forse non siamo abbastanza liberi di cuore da riconoscere queste opportunità di amore, perché frenati dalla paura o condizionati da aspettative irrealistiche. Mentre lo Spirito, invece,  continua a lavorare come sempre.
Una Chiesa sinodale è una comunità in ascolto 

Luca 13,1-9 / La storia 
L’evangelista riporta “la lettura sapienziale” di due fatti di vita quotidiana e una parabola  sulla cura per un fico: “cambiare la nostra mentalità” riguardo all’esistenza umana e ai suoi  imprevisti, talvolta anche tragici; riguarda il nostro modo “pensare la presenza di Dio nella storia e nella nostra vita. 
Altrimenti non abbiamo scampo per la nostra esistenza se non quella di intravvederne la  fine: “guardare attraverso per vedere oltre” i fatti, la realtà… questa è la conversione! Le tragedie non colpiscono alcuni perché peccatori o colpevoli più di altri: ognuno ha certo  le sue responsabilità personali e collettive, civili e penali. 
Gesù invita i suoi discepoli a “leggere attraverso” gli avvenienti, a sentirsene coinvolti, pro vocati. Nemmeno Dio ne è estraneo, Egli in Gesù crocifisso e risorto, si sente coinvolto in prima  persona e in un modo diverso da come noi pretenderemmo… senza giudicare! Non è indifferente,  anche se sembra assente, interviene sempre in un modo sicuro e inedito come è stato nella storia  di Israele (vedi Esodo) e per ogni pretesa religiosa: è solo amore paziente. 
Con la parabola del fico improduttivo vuole mettere in risalto la capacità di attesa di un padre  che attende e soffre con noi, per noi figli suoi [pazienza], attraverso il Figlio suo travolto dalla  “tragedia umana” del rifiuto e della sua stessa condanna a morte. 
Dio è certamente paziente, ma noi non ne possiamo programmare o fissare scadenze, ma  coinvolgerci nella sua fatica di fecondare la storia con il suo amore infinito, che raddoppia la  responsabilità pur di vincere la sterilità. 
Ciò permette di “generare vita” dove noi invece notiamo solo contraddizioni sterili. 
Contestualizzazione liturgica 
Con la terza domenica entriamo nella parte “catechetica” del cammino quaresimale e che  costituisce anche l’originalità di ogni ciclo liturgico: ci invita alla conversione per vivere la Pasqua del  Signore. Dall’inizio della sua prima predicazione, il Nazareno aveva proclamato alle folle l’imperativo  a “cambiare mentalità” [metànoia] per accogliere con fiducia l’annuncio gioioso della definitiva  presenza di Dio in noi e in mezzo a noi [il regno di Dio] (cf Marco 1,15; Matteo 3,2). 
Mentre la preghiera iniziale ricapitola il senso fondamentale della conversione: «Padre santo  e misericordioso… infrangi la durezza della mente e del cuore... perché portiamo frutti di vera e  continua conversione», nell’acclamazione all'Evangelo lo stesso motivo si trasforma in un imperativo  profetico: «Convertitevi, dice il Signore: il regno di Dio è vicino!». 
La storia di Israele è per tutti noi il “paradigma” dell’agire di Dio nella vicenda umana: con la  rivelazione della sua “identità personale” [Nome] inizia una storia che è un cammino di liberazione. La sua libertà anzitutto, indisponibile a qualsiasi potere umano, è la sua stessa misericordia,  offerta a chi è ormai ridotto alla massima debolezza o marginalità. Al movimento primo e originante  del suo osservare la miseria e ascoltare il grido e scendere corrisponde già il salire/uscire dall’Egitto  (Esodo 3,1..15 / I lettura).  
Questo “ascolto reciproco” è vissuto dalla comunità celebrante nella preghiera del Salmo  responsoriale come lode benedicente al Signore, nella memoria sempre viva del suo “amore  gratuito e misericordioso che perdona, cura, guarisce" (cf Salmo 102).
Ma come per Israele, anche per la comunità cristiana è sempre presente il rischio di mancare  a questa risposta, a questo appuntamento del Dio liberatore, solo che in Cristo la libertà è nella sua  fedeltà che non può venir meno senza violare la nostra (1Corinti 10,1-6.10-12 / II lettura). 
Quel roveto dal fuoco inestinguibile che attirò Mosè ad avvicinarsi ed a conoscere di chi era quella voce che udiva provenirvi, invece non era un fatto abituale che poteva anche trascurare?! Invece lo ha preso sul serio, si è coinvolto, seguendo quel Dio liberatore che “è-per-noi” [Javhè]. 
La quotidianità (I lettura), la scrittura (II lettura), la storia (evangelo) sono i tre “luoghi”  attraverso cui Dio parla all’essere umano; ascolto, memoria, discernimento sono gli atteggiamenti  fondamentali per accoglierlo. 
In preghiera con la Liturgia 
O Padre, paziente e misericordioso, 
che fin dai tempi di Israele 
mai abbandoni i tuoi figli 
e ascolti il grido degli oppressi, 
infrangi la durezza della nostra mente  
e del nostro cuore a fidarci di te 
affinché possiamo riconoscere nelle vicende della storia 
la presenza di Cristo, crocifisso-risorto, 
e portare in Lui frutti di vita eterna. 
Egli è Dio, e vive e regna con te, 
nell’unità dello Spirito santo, 
oggi e per l’eternità. Amen.

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