“LE PAROLE… LA PAROLA”
8 agosto 2021 – XIX Domenica T.O.
Il PANE della VITA
1Re 19,4-8 / Salmo 33 / Efesini 4,30- 5,2 / Giovanni 6,41-51
Giovanni 6,41-52
Il Padre vuole che abbia Vita chi vede il Figlio e crede in Lui.
Le reazioni al definirsi “pane che viene da Dio”
La proclamazione liturgica inizia con un confronto sull’identità di Gesù e l’essersi definito “il pane da Dio [alto/cielo]” e prima ancora “… il pane della Vita” (v. 35); purtroppo vengono omessi i vv. 35-40 utilizzati addirittura nelle esequie. A questo punto è opportuno che ognuno ne faccia una lettura personale data la loro importanza all’interno del discorso/dialogo di Gesù e per il loro contenuto1.
v. 41: “Mormoravano…”; è anche l’atteggiamento del popolo verso Mosè durante la peregrinazione nel deserto (Esodo 15,24, 16,2; 17,3).
v. 42: “Non è Gesù…”; è la stessa contestazione che ritroviamo in Marco 6,1-6 (cf Mt 13,54-57).
Giovanni fa notare lo stupore dei giudei nei confronti di Gesù sia per la sua pretesa messianica e sia per la sua auto proclamazione divina: “Io-Sono sceso da Dio [alto/cielo]”. In effetti ciò che risulta scandaloso, inaccettabile come dichiareranno i discepoli (cf v. 60), è l’abbinamento del “Io-Sono” (cf Es 3,14) con “il pane…” che potrebbe significare: “Dio Padre, nell’umanità suo Figlio Gesù, è il nostro nutrimento” (come sarà più esplicito dai vv. 51b e ss.).
1 Rimando al mio commento Un Pane che sazia con Amore. Strumenti pastorali 16. Ortona 2021 in http://www.tommasoapostolo.it/
v. 43: “Non mormorate”; l’ammonizione di Gesù chiude il breve dialogo ed apre alle dichiarazioni successive. Il v. 44 riprende le affermazioni dei vv. 39-40 e focalizza il “venire” a Lui come moto interiore, come orientamento di una ricerca profonda da parte di chi si relaziona in modo filiale, affettivamente ed effettivamente “attratto dal Padre” che ha mandato il Figlio a risuscitare definitivamente chi rischiasse di essere perduto (cf v. 39). Cosìsembra chiudersi un percorso iniziato con il v. 35.
Con il v. 45 si apre un nuovo sviluppo del discorso fino al v. 47, sempre focalizzato sulla presentazione di Gesù: “Io-sono il pane”.
Riferendosi ai profeti (cf Isaia 54,13 e 2,2-4; Geremia 31,33ss.; Salmo 51,8) chiarisce che solo con Lui è iniziata una nuova esperienza di Dio, diretta e personale, filiale di chi “ha udito il Padre e ha imparato da Lui”, grazie al “venire” a Gesù, il Figlio che “ha visto il Padre e viene da Lui”.
Nel giudaismo infatti i rabbini non presentavano più la Torah, ma solo interpretazioni particolari (cf Mt 23,8-10), come nella chiesa cattolica prima del Vaticano II non si leggeva il Vangelo al popolo, ma parafrasi in lingua italiana. Ora invece, ascoltando Gesù il Figlio, tutti possono ascoltare Dio direttamente e ricevere quella vita che la pratica e l’ascolto della Torah prometteva (cf Dt 6,1-3; 28,1-2).
“Credere nel Figlio”, da cui si va per ascoltarne la parola, permette di avere Vita indefettibile (cf vv. 46-48).
“Io-Sono il pane della Vita… la mia carne” (v. 48- 51)
Riprende l’affermazione del v. 35 e chiude il dialogo iniziato con il v. 41, si apre il successivo ragionamento giungendo ad un successivo sviluppo che abbinerà “pane vivente” (v. 51) a “carne” da mangiare (v. 51c).
Gesù è per noi colui che ci dona Vita e che la alimenta costantemente.
“I vostri antenati…” (cf Numeri 14,20-35).
Da qui in poi Gesù prende le distanze dal popolo di Israele per un annuncio universale e personale, precedentemente fallito (Deuteronomio 34,1ss. e Giosuè 5,6): “Se non accolgono la sua parola rischiano, come la generazione del deserto, di morire senza essere entrati nella terra della libertà”.
Il nuovo dono di Dio all’umanità passa attraverso la “carne” del Figlio (cf 1,14) che dà Vita nel deporre la sua vita (cf 10,17): questo è il vero “pane” che nutre infinitamente e in modo definitivo. Come Dio si fa incontrare e conoscere attraverso l’umanità del Figlio (cf 1,18; 14,9), così ora ogni essere umano, nella debolezza della sua condizione, addirittura “si nutre” di Lui.
L’originaria fragilità umana che Gesù recupera con il dono di se stesso, trova la sua compiutezza nella capacità di donarsi. Questo è uno scandalo intollerabile non solo per i Giudei, ma per ogni proposta religiosa che voglia “spiritualizzare” l’avvinarsi alla divinità: in Gesù, il Figlio “parola fatta carne”, Dio e l’essere umano si incontrano, viceversa si allontanano e si perdono per sempre2.
Nell’OGGI della Liturgia
Nel dialogo tra Gesù e i giudei si ripropone in termini critici lo scandalo che suscita l’agire di Dio quando non corrisponde alle aspettative ed ai ragionamenti umani.
L’unica possibilità offerta è quella di arrendersi all’impossibile, come nella vicenda di Elia (I lettura) che non poté superare lo scandalo che dilacerava la sua esistenza di profeta e di
credente fino al limite delle sue capacità umane. E proprio quando sembra non esserci altra via di uscita che, gratuitamente, vengono aperte insperate sorgenti di vita, donato un “pane dall’alto” non prodotto umano.
2 Anche il processo di traduzione di “bisrà” (“carne” in aramaico, mentre corpo è “guphà”) con “sòma” (greco dei LXX dell’ebraico “basàr”), passa dalla sostituzione operata da Paolo e dai Sinottici con il termine “corpo”. Forse era troppo crudo riportare il termine usato da Gesù? Comunque ambedue i termini si riferiscono all’interessa della persona, anche se da due prospettive evidentemente differenti.
Così è inconcepibile e inaccettabile la manifestazione “incarnata” di Dio in Gesù che non può essere accolta se non per opera del Padre stesso che viene verso di noi e ci muove verso di Lui con la forza attrattiva del suo amore.
Elia si lascia andare alla morte… e trova la vita; Gesù nel dare la vita ha vinto la morte!
Proprio in questo sua “carne umana”, di uomo crocifisso, la nostra mortalità trova in Lui “il pane della Vita” che alimenta in noi una sempre nuova vitalità, la risurrezione.
Siamo dunque provocati a scegliere tra mormorazione e abbandono, tra cecità e interiorizzazione della Parola: tra morte e vita. Avviene nelle relazioni quotidiane, dove le persone che incontriamo ci sembrano ovvie, conosciute… quando è la normalità a tradirci e nello stesso tempo a spingerci fino al riconoscimento vero e autentico del dono gratuito, la fede che ci fa gustare il sapore della vita.
Paolo agli Efesini ci dice qual’ è il sapore pieno della vita: “Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi”
Viceversa rischiamo di “rattristare lo Spirito di Dio” che fa di tutto perché questo amore in noi non venga meno e si rinnovi di giorno in giorno (II lettura odierna).
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