venerdì 20 novembre 2020

“LE PAROLE… LA PAROLA” 22 novembre 2020

 LE PAROLE… LA PAROLA” 

22 novembre 2020 (Cristo Re e Signore dell’universo

Ezechiele 34,11-12.15-17 / Salmo 22 / 1Corinzi 15,20-26.28


Matteo
25,31-46 

Piccoli e Fratelli 

I più piccoli, i più deboli, i più poveri debbono intenerirci:  hanno “diritto” di prenderci l’anima e il cuore.  

Sì, essi sono nostri fratelli e sorelle 

come tali dobbiamo amarli e trattarli.  

Quando questo accade, quando i poveri sono come di casa,  la nostra stessa fraternità cristiana riprende vita. 

I cristiani, infatti, vanno incontro ai poveri e deboli  

non per obbedire ad un programma ideologico,  

ma perché la parola e l’esempio del Signore  

ci dicono che tutti siamo fratelli.  

Questo è il principio dell’amore di Dio  

e di ogni giustizia fra gli esseri umani”. 

FRANCESCO, 18.02.2015 

Siamo giunti alla “fine” di questa sezione del lungo racconto  evangelico di Matteo e in particolare del suo insegnamento  messianico che abbiamo visto così tanto contrastato dalle autorità  giudaiche. Soprattutto è “il fine” verso cui tende tutto il suo  ministero (cf 26,1-5) e, come spesso succede, è proprio la meta, la  conclusione, che dà senso a tutto il percorso ed al suo inizio (cf  1Corinzi 15,20ss. – II lettura). 

La famosa scena parabolica che viene proclamata in questa  domenica, non ci rappresenta tanto “la fine del mondo”, più volte  profetizzata nei capitoli precedenti con immagini altrettanto  suggestive (cf 10,23; 13,40-43.49-50; 16,27-28; 19,28; 24,1- 25,30), e  nemmeno la rappresentazione della “regalità” che nell’odierna  liturgia celebriamo a conclusione dell’anno liturgico (cf  25,34.40.45). 

Siamo all’apice del compimento di tutta la Torah (cf 5,17-20), che coincide con la piena e sorprendente manifestazione del regno  di Dio inaugurato dal Nazareno, cioè del volto stesso di Dio e del  modo nuovo di potersi relazionare con Lui. 

Non è mia intenzione entrare nei dettagli per spiegare questa  parabola, ma fornire soltanto alcune linee ermeneutiche per farne  cogliere tutta la sua profondità e novità a cui l’evangelista cerca  continuamente di aprire la comprensione dei discepoli e dei suoi  uditori (cf 9,17). 

Anzitutto, nel solco della più genuina tradizione biblica, si  tratta di “un re pastore” il cui compito è anche quello di  “discernere” sia per condurre meglio che per tutelare le diverse  razze nella promiscuità (cf Ezechiele 34,17 – I lettura). Ma questa  è solo un’immagine utilizzata, come quella del “giudice-re”, perché  subito si capisce che si tratta di ben altro: una convocazione  universale di tutti i popoli del pianeta. 

È subito chiaro lo scopo: far entrare nel regno, non solo  annunciato da Gesù, ma addirittura predisposto all’inizio del piano  salvifico del Padre, il senso della creazione: la comunione con Lui. 

Sbalordisce che questo ingresso nel regno venga “meritato”  dall’essersi comportati nei confronti degli altri semplicemente  come “esseri umani”, trattandoli come propri simili, specie nelle  loro situazioni di disagio o di difficoltà.  

Pertanto non si fa cenno a nessuna opera di carattere  religioso o cultuale che costituiva “la giustizia” predicata nel  giudaismo e contro cui Gesù ha proclamato un superiore e nuovo  modo di compiere la volontà di Dio (cf 5,20). 

Qui è veramente superato ogni limite e confine, così si verifica  l’unità e l’uguaglianza dei due precetti dell’amore verso Dio e verso  il prossimo (cf 22,34-40): “tutto quello che avete fatto ad uno solo  di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (cf 25,40).

Viene inoltre in evidenza il primato dei piccoli, già  riconosciuto nel “discorso alla comunità” (cf 18,1-10), in una  dimensione nuova: la fraternità (cf 12,49-50). 

Ad una comunità “smarrita” per la distruzione del Santuario  (nel 70 d.C. da parte delle truppe romane) e la perdita di un “centro  cultuale”, ora il fratello più piccolo in mezzo alla comunità (cf 18,2)  diventa il luogo di incontro con Dio attraverso la presenza del  Risorto (cf 18,20) riconoscibile soltanto, altrimenti misconosciuto,  nell’incontro con l’umanità debole e carente di ogni fratello. 

In questa prospettiva la rivoluzione evangelica inaugurata dal  Messia si compie, ma non esaurisce il continuo bisogno di  “cambiamento di mentalità” per accogliere il regno da Lui  inaugurato (cf 4,17) e riconoscerlo con stupore dove nemmeno  pensavamo fosse possibile incontrarlo, vale a dire nei fratelli  umiliati, perseguitati, rifiutati come Lui. 

“Il giudizio annunziato dal vangelo si va già realizzando  nell’oggi; non solo nel senso che sull’agire quotidiano si  eserciterà il giudizio ultimo, ma anche nel senso che già  adesso, in ogni avvenimento di amore o di chiusura tra gli  esseri umani, (vedi l’alternarsi di “allora” e “quando” e l’uso  dei verbo all’aoristo), si manifesta la signoria di Cristo, la sua  solidarietà con gli ultimi, la sua vittoria su tutto ciò che separa  ed estrania”. 

C’è altra signoria più visibile che possa affermarsi alle nostre  pretese di mondana onnipotenza? 

C’è altra unificazione più efficace di ciò che era stato anche  violentemente separato tra Dio e l’essere umano? Dove l’umano è anche spezzato in sé e la morte diventa per  eccellenza “il nemico”; ma è proprio attraverso di essa che Lui dà  la vita per gli altri e ricostruisce l’assoluto e nuovo, totale e  definitivo, rapporto tra noi e col Padre: “Dio, tutto in tutti” (cf II  lettura).

Nell’Eucaristia, celebrata e vissuta, siamo già “benedetti nel  regno del Padre”, resi partecipi al suo banchetto, insieme con tutti  coloro che abbiamo sinceramente amato e servito (cf v. 44b). 

Roberto


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