venerdì 26 settembre 2025

Vicina è la Parola 28 settembre 2025 Domenica XXVI/C L’abisso dell’Amore

 Vicina è la Parola











28 settembre 2025

Domenica XXVI/C

Amos 6,1a-7 /Salmo 146

1Timoteo 6,11-16

Luca 16,19-31


L’abisso dell’Amore

Con tutti gli “abissi” nei quali l’umanità rischia di sprofondare, rischiamo di dimenticare quello che è costituito dall’intimo di ogni persona. “L’anima umana è come un abisso che attira Dio, e Lui vi si getta”. (Julien Green)

Ma ci sono abissi scavati da noi, soprattutto quelli sociali, creati dalle disuguaglianze economiche e dall’ingiusta “distribuzione” delle ricchezze, come dal loro non libero accesso, di cui evito di citare le statistiche facilmente reperibili in rete (https://asvis.it/notizie). 

C’è anche l’abisso della solitudine e del dolore dal quale non è facile uscire. 

“Davanti a questa prospettiva, che non mi è estranea, provo paura. Sento racconti di missili che piovono sulla testa di tante persone, e continuo la mia strada, come se niente fosse. 

Davanti all’irrigidimento del cuore, alla sua pietrificazione, non so che cosa fare. 

Cerco una parola nel vangelo e trovo un nome, Lazzaro: “Dio aiuta”…  che mi fa prendere coscienza del rischio che corro. Dio aiuta, mettendomi davanti esempi di persone che la distanza tra sé e gli altri la percorrono, e offrono da mangiare, offrono un tetto e messaggi pieni di incoraggiamento. Non vi lasceremo mai soli. Dio aiuta. Lasciamoci aiutare. Ma com’è difficile!”. (Stefano Corticelli SJ)


Contestualizzazione evangelica di Luca 16,19-31

Il racconto evangelico di Luca ci testimonia il cammino di fede di una comunità che non è solo impegnata a vivere nel suo “oggi” l’evangelo del Nazareno, ma che vuole attuarlo e contestualizzarlo nelle dinamiche sociali del suo tempo.

L’ultimo “detto” del brano proclamato nella XXV domenica: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (16,13b) pone proprio il dilemma tra un’esistenza asservita alla logica dell’avere e del possedere, trascurando chi ha meno e nemmeno il necessario per una vita dignitosa, e quella della giusta ripartizione dei beni materiali.

Oggi, come allora, questo suscita la derisione dei “farisei di ogni tempo” e per il credente è una provocazione su quale scelta di vita sia più “giusta” e coerente, con “l’evangelo del Regno di Dio” e con la perenne validità della Torah a cui si è “legati” non per dovere ma in “patto sponsale” (cf vv. 14-18).

Ecco dunque una nuova parabola che apparentemente si presenta come di “consolazione” per gli impoveriti e di “avvertimento” inesorabile per i ricchi, rivolta al futuro di un’altra vita su cui incide il presente che può essere capovolto in vista dell’eternità (cf 16,19-31).

La sua conclusione ci avverte che nemmeno questa prospettiva sortirà l’effetto risolutivo desiderato, addirittura nel presentarsi vivo di Uno che ha superato la morte e sperimentato come stanno veramente le cose “davanti a Dio” (cf v. 31!).

Traspare qui la delusione dei cristiani nel non vedere realizzata la portata rivoluzionaria dell’evangelo? Oppure il fallimento dei suoi tentativi di una società più giusta e solidale già all’indomani della risurrezione del Nazareno nella stessa Gerusalemme? (cf Atti 2,44-45; 4,32-37; 5,1-11)?

In che modo “Dio soccorre” [Lazzaro]? Solo nell’al di là? I ricchi continueranno a godersi la vita mentre la maggioranza dell’umanità vive sotto la soglia della sopravvivenza, nutrendosi delle briciole che cadono dalla tavola degli epuloni? Il Nazareno lo aveva già fatto per la donna cananea che si riteneva lì relegata (cf. Matteo 15,27-28).

L’abisso scavato che divide è stato messo in cantiere lungo tutta la storia di ingiustizie perpetrate ai danni di ogni povero e non finirà, nonostante che “l’uomo Gesù” in quell’abisso si sia calato con tutta la sua portata di amore realizzando in sé stesso anzitutto le condizioni della “beatitudine” proclamata e da lui attuata (cf Lc 6,20 ss.). 

La morte, come condivisione radicale del destino di ogni essere umano, manifesta lo svelamento di quanto è già sotto gli occhi di tutti, ma che non vuole essere visto perché non si vuole guardare in faccia alla realtà. 

Solo il capovolgimento della risurrezione, non come resa dei conti o ristabilimento di un equilibrio compromesso, ma vittoria definita della vita nella sua piena dignità, sarà per tutti possibilità di gustarla in base alla propria capacità maturata nell’esercizio quotidiano dell’amore.

Nessuno avrà più fame o sete fino al punto di morirne o di gozzovigliare per placarla, tutti comprenderemo chi siamo come “esseri umani” e chi possiamo diventare nell’uomo Gesù Cristo che l’Amore fa vivere per sempre. (Comunità di Viboldone)


Ambientazione liturgica

+ Il compito prioritario della Parola è di metterci anzitutto davanti a Dio nella nostra situazione personale, comunitaria e sociale. In particolare quella profetica ci richiama alle nostre responsabilità denunciando le nostre “false sicurezze” e la nostra incapacità di vedere i segni di una crisi incipiente, allora culminata con l’esilio e oggi con esiti ancora ignoti ma purtroppo prevedibili [Amos 6 – I lettura].

- Proprio nella Liturgia la comunità si riconosce interpellata in prima persona verso le situazioni dei più deboli e svantaggiati, e non cede facilmente alla tentazione di “scaricare” sul Signore la “fedeltà” ad un patto a cui è tenuto anche il suo popolo che solo così può elevare a Lui la sua lode [Salmo 146].

- La mensa eucaristica non può essere una caricatura della realtà, se alla mensa del benessere non vogliamo invitati intrusi o “irregolari” ma solo ospiti scelti e selezionati. Essa è per tutti, soccorsi dall’Amore -Lazzaro- che tutti nutre [Luca 16 - Evangelo].

- Così tutti possiamo riconoscerci “uomini di Dio” e stare “al suo cospetto” come ha testimoniato Gesù davanti a chi -Pilato- lo stava condannando: paradosso dell’Amore che non teme di essere misconosciuto per essere alla fine riconosciuto e accolto, “il solo che possiede l’immortalità” [1Timoteo 6 – II lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Dio nostro Padre,

che conosci le necessità dei poveri
e non abbandoni il debole nella sua solitudine,
liberaci dalla schiavitù del nostro egoismo
affinché non siamo sordi alla voce di chi invoca aiuto,
e siamo così testimoni credibili del Cristo risorto.

Amen.


venerdì 19 settembre 2025

Vicina è la Parola 21 settembre 2025 Domenica XXV/C Amministrare l’Amore

 Vicina è la Parola

21 settembre 2025

Domenica XXV/C

Amos 8,4-7 / Salmo 113

1Timoteo 2,1-8

Luca 16,1-13


Amministrare l’Amore

Già gestire le relazioni affettive è un’impresa, figuriamoci doverle “amministrare”.

L’amore è il “bene” primario ed essenziale alla nostra esistenza umana, fonte della gioia di vivere in quanto amati e della soddisfazione di poter amare qualcuno, per questo va accolto, custodito, alimentato, condiviso, ricercato… amministrato quindi, come ogni altro prezioso patrimonio che a noi esseri umani è stato affidato.

Dover “rendere conto” dell’amore non piace a nessuno, soprattutto a chi investe in questa esperienza il massimo della libertà e dell’intraprendenza, compresa l’estrema fantasia nel fallire e, purtroppo anche, nel far soffrire.

Si tratta però di una nostra responsabilità che come umani non possiamo declinare soprattutto nei confronti della vita stessa: che ci piaccia o no, spesso in modo imprevedibile o per noi ingiusto, un giorno o l’altro dovremo farlo; viceversa sarebbe un insulto alla nostra intelligenza.

Ma rendere conto a chi, come? 

Anzitutto a noi stessi, e poi a Chi possa accoglierci nella sua casa nonostante tutto e solo in virtù della nostra amicizia, nonostante la nostra condotta utilitaristica: dare per avere; della nostra mentalità calcolatrice: fin dove mi conviene; delle nostre abitudini “romantiche”: vorrei ma non posso... 

Certo che puoi! Non dobbiamo aspettare la grande occasione. Le piccole situazioni quotidiane ci offrono la possibilità di rendere conto della nostra vera capacità di amare ed esse ci permettono di ricominciare sempre.


Contestualizzazione evangelica di Luca 16,1-13

La comunità di Luca aveva recepito l’evangelo del Nazareno di un Dio che ama “visceralmente”, facendolo diventare il suo stile di vita nelle relazioni fraterne e nel proprio ambiente sociale. C’erano anche contrasti come tra Gesù e i suoi contemporanei: farisei ed esperti della Torah, esattori e gente di malaffare, ricchi approfittatori e scaltri amministratori, anche convertiti al cristianesimo. 

Nella comunità, e non solo nella società, capitano sempre situazioni nelle quali si può venir colti in un’amministrazione fraudolenta (e non soltanto dei beni materiali…). Come venirne fuori puliti o per lo meno senza perdere tutto?

La paradossalità di questo amore sconfinato si incontra quindi dialetticamente con scelte esistenziali difficili da discernere e districare nella vita quotidiana, per noi credenti oggi come lo è stato per i discepoli a cui il Maestro rivolgeva ancora una parabola: Luca 16,1-8, ancora una similitudine tra la scaltrezza mondana e quella “illuminata” dell’evangelo: “farsi amici” (vv. 8-9). 

Ma perché non sembri opportunismo, e consapevole dei pericoli sempre in agguato dentro e fuori la comunità, Luca richiama “detti gesuani” radicali riguardanti la “fedeltà” e la disonestà, l’esclusivo servizio al Signore, ai fratelli e alle sorelle, e il costante pericolo di essere ammaliati dalle ricchezze (cf vv. 10-13) nel quale invece sprofondano gli stessi farisei, scettici sull’insegnamento così radicale di Gesù fino a ridicolizzarlo (cf vv. 14-31).

La comunità dei credenti si rende conto dell’imbarazzante “evangelo” del Dio fattosi uomo ed è come se all’improvviso si accorgesse del suo messaggio ultimo ed inequivocabile: la Parola dell’Amore misericordioso. Consapevole di amministrare [οἰκοnοmίαs per 7 volte!] questo patrimonio e di doverne “rendere conto” al suo Signore, ammette anche di essere del tutto sprovveduta, non altezza del compito affidatole (vv. 1-2). 

La parabola, con cui Gesù voleva sbalordire i suoi uditori affinché si scuotessero e cogliessero l’urgenza dell’ora messianica, le viene incontro con l’invito a non declinare le proprie responsabilità, a non fuggire. Pur nell’inadeguatezza dei propri mezzi, nell’ambiguità di ciò che è ed ha, la spinge a mettersi comunque al servizio del Regno che viene. Le sono sempre possibili gesti di amore quotidiano con cui rischiare di amare “nel poco” sapendo che “il molto” (cf v. 10) è solo un dono da accogliere così come si è accolti dall’Amore che si fa “casa” (cf v. 9). (Comunità di Viboldone)


Ambientazione liturgica

+ La comunità cristiana, in Assemblea celebrante, è rappresentativa di tutti gli esseri umani presso il Signore. Siamo un popolo “sacerdotale” che non si rinchiude dentro per pregare, ma che si apre e porta con sé “domande, suppliche, ringraziamentiper e di tutti. 

- Così ha fatto il Signore nella sua esistenza terrena, così i suoi discepoli e apostoli come Paolo per le sue comunità [1Timoteo 2,1-8 – II lettura]. 

- Ogni domenica nella “preghiera universale” e nella “dossologia eucaristica”: “Per / In / Con Cristo…” la Chiesa si riveste della responsabilità di amministrare, sulle dimensioni del mondo… dell’universo facendosi voce di ogni creatura e degli esseri umani che affermano l’autonomia della loro esistenza e la sicurezza delle loro ricchezze [Luca 16 – Evangelo].

- La “lode cosmica” della comunità acclama con entusiasmo [Hallel - Salmo 112] il Dio che si china a guardare in basso e solleva l’indigente dalla polvere per farlo sedere tra i prìncipi.

- Ma la veridicità e la coerenza della preghiera si verificherà quando, una volta sciolta l’assemblea, ognuno andrà nel mondo come “apostolo e messaggero dell’uomo Cristo Gesù, unico mediatore, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” [Paolo] soprattutto denunciando le ingiustizie del nostro mondo e di un’apparenza religiosa spesso paravento allo sfruttamento dei poveri [Amos – I lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Dio nostro Padre,

difensore dei poveri e dei deboli,
che ci chiami ad amarti con lealtà,
abbi misericordia della nostra condizione umana,
salvaci dalla cupidigia e dal possedere
e aiutaci a ricercare l'inestimabile tesoro 

della tua amicizia.

Amen.


sabato 13 settembre 2025

Vicina è la Parola 14 settembre 2025 Esaltazione della Croce di Gesù Croce senza Crocifisso.. non salva!

 Vicina è la Parola

35 idee su Croce | croce, albero della vita, mosaico bizantino

14 settembre 2025

Esaltazione della Croce di Gesù

Numeri 21,4b-9 / Salmo 77

Filippesi 2,6-11

Giovanni 3,13-17


Croce senza Crocifisso.. non salva!

Non c’è nulla di “esaltante” e da esaltare nel dolore, solo l’amore innalza!

La croce in sé stessa, come terribile strumento di condanna a morte, non può essere “innalzata” a simbolo di un cristianesimo e di un essere cristiani che fin dall’inizio l’aveva rifiutata in quanto tale… se non dopo che essere riusciti a riconoscerla trasformata in “albero di vita”.

Le sue radici, allora come oggi, sono spesso irrigate dal sangue di tanti innocenti; i suoi rami germogliano di una vita misteriosamente feconda i cui frutti continueranno ad alimentare un’umanità spesso ignara e ingrata di questo dono divino.


Contestualizzazione evangelica di Giovanni 3,13-17

Nel colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo, rinascere” è il fulcro dell’originale annuncio messianico sulla reale possibilità per l’essere umano di avere direttamente da Dio la Vita (“il regno”, v. 5). Solo Gesù, riconosciuto “Rabbi inviato da Dio”, può donarla (cf vv. 2.16) e così si capisce perché quest’uomo sia andato da Lui “di notte”, alla ricerca “una vita nuova” per sé e per il suo popolo. Infatti riconosce in Gesù, dopo “i segni” compiuti a Gerusalemme (cf vv. 1-2; 2,15.23), il “Messia riformatore” delle istituzioni giudaiche, di una purificata interpretazione e applicazione della Toràh. 

Ma Gesù che “conosceva tutti… e quello che c’è nell’essere umano” (2,25), porta il suo interlocutore a guardarsi dentro, più in profondità, per capire da dove nasca in lui quest’aspirazione alla “novità” del regno di Dio e quale ne sia la reale portata, se ha già constatato che essa non potrà essere soddisfatta da nessuna riforma religiosa o rivoluzione sociale e politica, come forse si aspettavano alcuni della sua setta (B. Maggioni).

Per questo il Maestro afferma solennemente che si tratta di “vedere/sperimentare” in modo integrale, da richiedere una rottura con le precedenti esperienze esistenziali, e di percepire un nuovo rapporto con Dio oltre che con sé stessi, un’inedita qualità di vita ma che va profondamente desiderata e cercata (E. Borghi).

Mentre l’essere umano ne avverte l’impossibilità reale in base alla sua limitata progettualità (cf v. 4), Dio la manifesta facendola conoscere nel Figlio -sua Parola incarnata- e vedere nel suo modo di esistere umano che, se ascoltata/accolta, ne rende partecipi (cf 1,1.14.26-38).

È difficile per chi si sente “vecchio” aprirsi alla novità e credere che sia possibile il rinnovarsi del gesto creativo di Dio (cf v. 4): solo lo Spirito di Dio può farlo “dall’alto (cf vv. 5-8).

Dall’alto di dove? Certo da Dio (come il pane nel capitolo 6,32.41-42) ma attraverso il Figlio che viene da Lui inviato (cf v. 13); ma in che modo? Da innalzato sulla croce come dono dell’amore del Padre per il mondo (cf vv. 14-17) che rende reale quanto è invece umanamente inattuabile.

L’amore gratuito di Dio (“grazia” cf 1,17) supera e sostituisce gli effetti dell’osservanza etica della Torah e dona la possibilità di “fare la Verità” che conduce alla luce (cf v. 21; 1,17), Vita stessa degli esseri umani (cf 1,4) che ora raggiunge chi a Lui si affida (“crede” cf v. 15) permettendogli di “essere se stessi”, come ha manifestato il Figlio innalzato (vv. 14-15; vedi anche 8,28; 12,32). (S. Fusti)

L’amore fa sì che la vita donata, e non “strappata via” (cf 10,18), da Gesù in poi generi “persone nuove” e sempre nuove possibilità di vita e di amare (S. Palumbieri).Uomini e donne interiormente rigenerati potranno dar vita a nuove relazioni (“nuova giustizia” evangelica cf Mt 5,20- 7,28), ad un mondo nuovo, alla “civiltà dell’amore” di cui vi fa parte chi ama e non chi pretende un’appartenenza etnica o religiosa. Una società senza frontiere e condizionamenti dal passato, aperta al presente e protesa verso il futuro (E. Borghi).


Ambientazione liturgica

+ Nelle nostre liturgie solenni la Croce apre la processione d’ingresso nell’assemblea liturgica e guida i ministri verso l’altare. Così avviene anche negli altri cortei religiosi che la Croce campeggi davanti a tutti. Lo facciamo con una certa disinvoltura, forse non sempre attenti al senso più profondo di questo rito. Chi seguiamo nella nostra esistenza? Chi è Colui che guida il nostro cammino verso la Luce della Verità? L’Evangelo di Giovanni che viene proclamato in questa celebrazione liturgica ci conduce a scoprirlo.

- Come preghiamo nel Salmo 77, la Parola ci parla in parabole il cui senso va oltre le immagini e i simboli, fosse anche quella di un “serpente di bronzo innalzato su di un’asta” per questo occorre “aprire l’orecchio” all’ascolto, gli occhi a “guardare” altrove e attraverso il male che ci “morde” [Numeri 21 – I lettura].

- È il paradosso di essere guariti dal guaritore ferito davanti al quale tutti, riconoscendo l’universale linguaggio del dolore assunto per amore, ci inginocchiamo non in un atto servile e sottomesso, ma per essere raggiunti da Colui che fin lì si è abbassato per farci risalire con Lui nell’abbraccio del Padre [Filippesi 2 – II lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Padre, 

hai voluto salvare gli esseri umani

con la Croce del Cristo tuo Figlio,

nel quale abbiamo conosciuto

il tuo sconfinato amore,

rendici partecipi anche della sua gioia eterna.

Amen.


L'elogio dell'INSISTENZA

  Vicina è la Parola 19 ottobre 2025 - Domenica XXIX / C Esodo 17,8-13 / Salmo 120 2Timoteo 3,14- 4,2 Luca 18,1-8   L’elogio del...