Vicina è la PAROLA
12 maggio 2024: Ascensione del Signore
Atti 1,1-11 / Salmo 46
Efesini 4,1-13
Marco 16,15-20
Non guardare in alto… ma dall’alto
Oggi, più che mai occorre uno “sguardo” prospettico e corretto sulla realtà e sulla storia.
C’è una “mistica contemplativa del reale” che implica una prospettiva per nulla opposta a quella “dal basso” in quanto aderente al vissuto quotidiano, ma necessaria ad intravvedere ciò che spesso non è immediatamente percepibile… la presenza dell’Amore in tutti ed in tutto!
È un’urgenza e un’opportunità per evitare ogni “evasione altrove” e scoprire tutta la portata della trama entro la quale di svolge anche la nostra esistenza, il suo senso ed il suo valore, anche nei percorsi “storti” in mezzo ai quali incessantemente si fa strada la Vita.
Scorgiamo così una “trasparenza” che aiuterà ciascuno a vedere la sua situazione già ascoltata, “presa in carico”, amata… da Chi vedremo “venire nello stesso modo in cui è andato”.
Ermeneutica evangelica di Marco 16,15-20
Siamo nel ciclo liturgico B e quindi in questa festa ascoltiamo la “finale lunga” del racconto evangelico di Marco, quasi un’appendice postuma dove, dopo aver riassunto i “fatti” inerti la risurrezione del Nazareno con le sue manifestazioni ai discepoli (vv. 9-14), il Risorto riprende la parola ed apre loro una missione universale in continuità con la sua: “proclamate il Vangelo” (v. 15 cf 1,14). Il contenuto del suo “congedo” da loro (v. 19) ha espressioni per lo più paradossali ed improbabili se non sono lette alla luce di quanto Lui per primo ha compiuto ed ha affidato ai suoi.
Credere ed incredulità ricorrono 6 volte nei precedenti versetti indicando il cammino dei discepoli/credenti che con la morte del Nazareno faticano ad entrare nella Risurrezione e che proprio offrendo ad altri la possibilità di credere confermeranno la loro fede.
La reale efficacia dei “segni che accompagneranno coloro che avranno creduto” è comprendibile alla luce dell’esperienza di Israele nell’esodo e soprattutto di Gesù come è narrata in questo vangelo:
- eliminare il male che separa e il senso di colpa che opprime condividendo la sofferenza altrui;
- saper comunicare relazionandosi con tutti in modo nuovo;
- guardare in faccia alla realtà umana, avvelenata nelle sue relazioni,
senza paura di mettervi mano e di assumerla;
- prendersi cura di chi soffre “toccando” la sua infermità (cf vv. 17-18).
“Dopo aver parlato loro fu elevato in alto e sedette alla destra di Dio” è un accenno conclusivo ma che dice la necessità di questo “distacco” del Maestro dai discepoli affinché loro possano agire efficacemente: “uscendo ad annunciare dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava” (vv. 19-20).
Una visione sobria e realistica di quanto anche noi possiamo sperimentare.
Ambientazione liturgica
Anche noi nella celebrazione eucaristica siamo invitati dal Signore che vuole “mangiare con noi” e così il massimo dello stare con noi, in mezzo a noi, coincide anche con la perdita della sua percezione fisica e ci costringe ad aprirci ad una nuova e unica misura di relazione: l’Amore, testimoniato fino alla fine anche dal resoconto di Atti 1 [I lettura]. Nel suo sottrarsi a noi, siamo noi attratti e introdotti nella sua stessa realtà, partecipi della sua pienezza; così Lui è per sempre con noi, perché noi siamo ormai in Lui.
Lo Spirito donato dal Risorto occupa lo spazio intermedio e lo anima della sua Presenza attraverso il nostro “stare insieme”, comunità che vive, crede e celebra la sua Pasqua attraverso la Parola, i segni eucaristici, i volti dei fratelli e sorelle radunati da Lui.
Avvenimento che sempre sconcerta le nostre misure umane di valutazione della prossimità di Dio e ci conduce ad aprirci alla misura unica, vera, che coglie la prossimità dell’altro: l’Amore, Dio in Gesù ama l’umanità introducendola nella sua e nostra “pienezza” [Efesini 1– II lettura].
“Dio rimane ormai per sempre vicino: questo annuncio di gioia che già i discepoli portavano in cuore vedendo Gesù sottrarsi ai loro sguardi, questo vangelo, è il Dono affidato alla chiesa che, come corpo di Cristo, è chiamata a manifestare ogni giorno la “sua” pienezza che si realizza interamente in tutte le cose, poiché in tutte le cose l’Amore può realizzarsi” (Comunità monastica di Viboldone).
Gesù di Nazareth, dopo l’esperienza di aver vissuto umanamente “trascina con sé” la natura umana e l’umanità in un destino di divinizzazione, in un nuovo rapporto di “piena unità” con il Padre: la sua ascensione è il compimento dell’assunzione dell’essere umano.
I testi dell’eucologia liturgica sono ricchi di tanti spunti [Colletta – Offerte – Prefazio I e II – Comunione] in essi si intrecciano e si sviluppano le tradizioni neotestamentarie sulla glorificazione di Cristo e sul destino dell’umanità in Lui, di questa “nuova relazione” con Dio e del suo “stare in Dio” con Lui. Si sente l’influsso della teologia patristica di Agostino, Gregorio di Nazianzo, Leone magno, Origene…
La Liturgia della chiesa spalanca il cielo in terra e porta la terra in cielo.
L’ascensione è il momento eterno del nostro accesso alla comunione con il Padre… e con i nostri fratelli e sorelle ogni volta che “usciamo da noi stessi” per entrare nelle situazioni altrui con quella tenerezza e compassione che ha caratterizzato il calarsi del Figlio nella nostra vicenda umana. Più scendiamo abbassandoci (cf Filippesi 2) e con l’umanità ascendiamo in Colui che dell’umanità ha fatto la sua sposa, infatti “non si è separato dalla nostra condizione umana… dove è Lui, nostra testa, siamo anche siamo anche noi suo corpo” [Prefazio I; cf Efesini 5].
Preghiamo
Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre,
per il mistero che celebra in questa liturgia di lode,
poiché con tuo Figlio
la nostra umanità è innalzata accanto a Te,
e noi, membra del suo corpo,
viviamo nella speranza di raggiungere Lui,
nostro capo, nella risurrezione.
Amen.
12 maggio 2024: Ascensione del Signore
Atti 1,1-11 / Salmo 46
Efesini 4,1-13
Marco 16,15-20
Non guardare in alto… ma dall’alto
Oggi, più che mai occorre uno “sguardo” prospettico e corretto sulla realtà e sulla storia.
C’è una “mistica contemplativa del reale” che implica una prospettiva per nulla opposta a quella “dal basso” in quanto aderente al vissuto quotidiano, ma necessaria ad intravvedere ciò che spesso non è immediatamente percepibile… la presenza dell’Amore in tutti ed in tutto!
È un’urgenza e un’opportunità per evitare ogni “evasione altrove” e scoprire tutta la portata della trama entro la quale di svolge anche la nostra esistenza, il suo senso ed il suo valore, anche nei percorsi “storti” in mezzo ai quali incessantemente si fa strada la Vita.
Scorgiamo così una “trasparenza” che aiuterà ciascuno a vedere la sua situazione già ascoltata, “presa in carico”, amata… da Chi vedremo “venire nello stesso modo in cui è andato”.
Ermeneutica evangelica di Marco 16,15-20
Siamo nel ciclo liturgico B e quindi in questa festa ascoltiamo la “finale lunga” del racconto evangelico di Marco, quasi un’appendice postuma dove, dopo aver riassunto i “fatti” inerti la risurrezione del Nazareno con le sue manifestazioni ai discepoli (vv. 9-14), il Risorto riprende la parola ed apre loro una missione universale in continuità con la sua: “proclamate il Vangelo” (v. 15 cf 1,14). Il contenuto del suo “congedo” da loro (v. 19) ha espressioni per lo più paradossali ed improbabili se non sono lette alla luce di quanto Lui per primo ha compiuto ed ha affidato ai suoi.
Credere ed incredulità ricorrono 6 volte nei precedenti versetti indicando il cammino dei discepoli/credenti che con la morte del Nazareno faticano ad entrare nella Risurrezione e che proprio offrendo ad altri la possibilità di credere confermeranno la loro fede.
La reale efficacia dei “segni che accompagneranno coloro che avranno creduto” è comprendibile alla luce dell’esperienza di Israele nell’esodo e soprattutto di Gesù come è narrata in questo vangelo:
- eliminare il male che separa e il senso di colpa che opprime condividendo la sofferenza altrui;
- saper comunicare relazionandosi con tutti in modo nuovo;
- guardare in faccia alla realtà umana, avvelenata nelle sue relazioni,
senza paura di mettervi mano e di assumerla;
- prendersi cura di chi soffre “toccando” la sua infermità (cf vv. 17-18).
“Dopo aver parlato loro fu elevato in alto e sedette alla destra di Dio” è un accenno conclusivo ma che dice la necessità di questo “distacco” del Maestro dai discepoli affinché loro possano agire efficacemente: “uscendo ad annunciare dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava” (vv. 19-20).
Una visione sobria e realistica di quanto anche noi possiamo sperimentare.
Ambientazione liturgica
Anche noi nella celebrazione eucaristica siamo invitati dal Signore che vuole “mangiare con noi” e così il massimo dello stare con noi, in mezzo a noi, coincide anche con la perdita della sua percezione fisica e ci costringe ad aprirci ad una nuova e unica misura di relazione: l’Amore, testimoniato fino alla fine anche dal resoconto di Atti 1 [I lettura]. Nel suo sottrarsi a noi, siamo noi attratti e introdotti nella sua stessa realtà, partecipi della sua pienezza; così Lui è per sempre con noi, perché noi siamo ormai in Lui.
Lo Spirito donato dal Risorto occupa lo spazio intermedio e lo anima della sua Presenza attraverso il nostro “stare insieme”, comunità che vive, crede e celebra la sua Pasqua attraverso la Parola, i segni eucaristici, i volti dei fratelli e sorelle radunati da Lui.
Avvenimento che sempre sconcerta le nostre misure umane di valutazione della prossimità di Dio e ci conduce ad aprirci alla misura unica, vera, che coglie la prossimità dell’altro: l’Amore, Dio in Gesù ama l’umanità introducendola nella sua e nostra “pienezza” [Efesini 1– II lettura].
“Dio rimane ormai per sempre vicino: questo annuncio di gioia che già i discepoli portavano in cuore vedendo Gesù sottrarsi ai loro sguardi, questo vangelo, è il Dono affidato alla chiesa che, come corpo di Cristo, è chiamata a manifestare ogni giorno la “sua” pienezza che si realizza interamente in tutte le cose, poiché in tutte le cose l’Amore può realizzarsi” (Comunità monastica di Viboldone).
Gesù di Nazareth, dopo l’esperienza di aver vissuto umanamente “trascina con sé” la natura umana e l’umanità in un destino di divinizzazione, in un nuovo rapporto di “piena unità” con il Padre: la sua ascensione è il compimento dell’assunzione dell’essere umano.
I testi dell’eucologia liturgica sono ricchi di tanti spunti [Colletta – Offerte – Prefazio I e II – Comunione] in essi si intrecciano e si sviluppano le tradizioni neotestamentarie sulla glorificazione di Cristo e sul destino dell’umanità in Lui, di questa “nuova relazione” con Dio e del suo “stare in Dio” con Lui. Si sente l’influsso della teologia patristica di Agostino, Gregorio di Nazianzo, Leone magno, Origene…
La Liturgia della chiesa spalanca il cielo in terra e porta la terra in cielo.
L’ascensione è il momento eterno del nostro accesso alla comunione con il Padre… e con i nostri fratelli e sorelle ogni volta che “usciamo da noi stessi” per entrare nelle situazioni altrui con quella tenerezza e compassione che ha caratterizzato il calarsi del Figlio nella nostra vicenda umana. Più scendiamo abbassandoci (cf Filippesi 2) e con l’umanità ascendiamo in Colui che dell’umanità ha fatto la sua sposa, infatti “non si è separato dalla nostra condizione umana… dove è Lui, nostra testa, siamo anche siamo anche noi suo corpo” [Prefazio I; cf Efesini 5].
Preghiamo
Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre,
per il mistero che celebra in questa liturgia di lode,
poiché con tuo Figlio
la nostra umanità è innalzata accanto a Te,
e noi, membra del suo corpo,
viviamo nella speranza di raggiungere Lui,
nostro capo, nella risurrezione.
Amen.
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