venerdì 15 novembre 2024

Vicina è la Parola 17 novembre 2024 – XXXIII Domenica/B l futuro ha un Nome: il Risorto!

Vicina è la Parola
17 novembre 2024 – XXXIII Domenica/B

Daniele 12,1-13 / Salmo 15
Ebrei 10,11-14.18
Marco 13,24-32
Le doglie del parto
Contestualizzazione evangelica di Marco 13,24-32
Il futuro ha un Nome: il Risorto!
Dopo aver seguito lungo quest’anno il percorso tracciato dall’evangelista Marco ed aver accolto - speriamo con frutto - la provocazione a seguirlo in questa nuova esperienza di vita inaugurata dall’annuncio del compimento in Gesù di Nazareth della presenza tra noi del “regno di Dio” ed aver provato a entrare nella sua logica di novità assoluta dell’Amore più forte della morte tale solo nella sua risurrezione, anche noi siamo continuamente interpellati da avvenimenti sconcertanti e sconvolgenti della storia e della natura, al punto da chiederci come i suoi discepoli: “Quale sarà il segno quando tutto questo sta per compiersi?” (Marco 13,1-3).
Come allora anche oggi dilagano messianismi falsi e illusori dinnanzi alle tragedie di civiltà e di calamità naturali (cf vv. 5-9; 21-23); ai fallimenti storici di una Chiesa che dà scandalo e tuttavia subisce persecuzioni (cf vv. 9-13); alla distruzione di Gerusalemme e alla diaspora tra le nazioni (cf vv. 14-20).
L’unica sicurezza è la parola del Risorto che sola avvera le profezie apocalittiche in base al suo travaglio personale di essere umano, di morte e risurrezione. Così ogni futuro, minacciato dai comportamenti dissennati a livello planetario e previsto come “senza ritorno”, è illuminato dalla sua definitiva vittoria sulla morte e dalla certezza della sua venuta finale, certa come ogni nuova stagione, come di chi “è vicino, è alle porte” [cf vv. 24-32 – Evangelo di oggi].
Per noi il futuro, per quanto incerto e tenebroso, ha un nome: il Figlio che viene a compiere tutto!
“Ma quali segni di questo luminoso futuro e quale relazione con il nostro oggi?
Come nella natura, espressa nella parabola del fico (vv. 28-29), tutto è preannunzio della vita nuova che sta per nascere, anche l’intenerirsi di nodi e nudi rami, l’intenerirsi doloroso dell’arida nostra terra all’imminenza dell’irruzione della Vita, è speranza inarrestabile ed invincibile” (CMdV).
Il Crocifisso-Risorto ha questa forza e la tramette a noi nell’affidarsi totalmente al Padre proprio riguardo al futuro suo, quindi nostro e dell’intera umanità.
Ambientazione liturgica
Siamo come il popolo di Israele quando nei periodi più tristi della sua storia crollavano le sue speranze, il male dilagava e Dio sembrava rimanere avvolto in un impenetrabile e misterioso silenzio e la tentazione è dare la responsabilità a “forze occulte e superiori” dimenticando che il Signore “lotta con noi -Michael” nelle vicende nascoste, con la promessa di vita e di risurrezione [Daniele 12 – I lettura].
È la Parola di Vita ad annunciarcelo, ma soprattutto il dono del suo Pane a comunicarcelo e che ci “saziano di gioia” [Salmo 15]
Il Signore Gesù è il sacerdote che offre ancora sé stesso con la forza del perdono, vera e perenne novità, inarrestabile vittoria sulla durezza del nostro cuore e sulla nostra precarietà [Ebrei 10 – II lettura]
Così la nostra comunità, che nell’eucaristia celebra non sé stessa ma il suo Signore, “cerca nel mondo profano che le sta attorno la sua missione: essere lievito che agisce scomparendo”. (H. U. von Balthasar)
Preghiamo con la Parola
O Padre,
che farai risplendere i giusti 
come stelle nel firmamento,
accresci in noi la fede, 
ravviva la speranza
e rendici operosi nella carità,
mentre attendiamo
la gloriosa e definitiva manifestazione
del tuo Figlio, Gesù Cristo,
nostro Signore e nostro Dio
che vive e regna con te, 
nell'unità dello Spirito santo,
nel tempo e nell’eternità. Amen. 


giovedì 7 novembre 2024

10 novembre 2024 – XXXII Domenica/B Da ricco che era si fece povero per arricchire noi

10 novembre 2024 – XXXII Domenica/B

1Re 17,10-16 / Salmo 145
Ebrei 9,24-28
Marco 12,38-44
         Amare da poveri
Contestualizzazione evangelica di Marco 12,38-44
Da ricco che era si fece povero per arricchire noi
Come sempre, nel Vangelo, i personaggi e gli episodi che sembrano marginali hanno invece un’importanza straordinaria e veicolano un messaggio fondamentale, che riguarda Gesù stesso (vv. 35-37).
È il caso della vedova, povera, che pur essendo destinataria della protezione divina -con altre categorie fragili [cf Salmo 145,19]- è ancora oggetto di soprusi e discriminazioni (vv. 38-40). Nell’intenzione dell’evangelista Marco diventa, chiave interpretativa di quello che il Figlio compirà alla fine di quella settimana verso il Padre e l’intera umanità.
Dall’apparente insignificanza e trascurato valore economico a confronto dei ricchi devoti, il gesto della donna, che nella sua miseria ha donato tutta la sua sussistenza, è posto come Evangelo di Colui che da ricco che era si fece povero e, svuotando tutto sé stesso, ci ha fatti ricchi della sua povertà (2Corinzi 8,9 e Filippesi 2,7).
L’evangelista infatti ci fa notare Gesù “seduto di fronte” alle tredici cassette delle offerte e dei tributi, “il tesoro del Tempio”, che “osservava come la folla vi gettava monete… molti ricchi… una vedova povera” (vv. 41-42). Questo non è un atteggiamento da spettatore, ma da protagonista: “guarda… e vede” il sopruso e l’ingiustizia sotto l’ostentata generosità legalista; la povertà e il totale donarsi che rischiano di passare inosservati anche da parte dei suoi discepoli!
La povertà come fiducioso abbandono nelle mani di Dio (cf la prima beatitudine di Matteo), le mani che si vuotano per gratuitamente dispensare solo amore e nessun altro bene (Atti 3,6) e la radicale insicurezza che si fa dono, sono le prerogative divine annunciate e compiute da Gesù stesso, per primo.
Tra la bassezza della ragazza di Nazareth (Luca 1,48) e i due spiccioli della vedova al Tempio si dispiega tutto il percorso messianico narrato da Luca del Nazareno e del dono del Padre in Lui (Giovanni 4,10) per tutta l’umanità (cf 3,16) fino a questa ultima tappa alla vigilia della sua Pasqua di morte e risurrezione (“nuovo esodo”).
Ambientazione liturgica
La Parola ci annuncia che possiamo vincere la nostra paura di rimanere poveri, senza niente, aprendoci al dono dell’amore gratuito riversato in noi, senza calcolare i nostri limitati mezzi e accogliendo l’altro, più delle volte sconosciuto, solo perché umano [1Re 17 – I lettura].
Il mistero della vita si riproduce e non prevale la morte dove l’amore ne vince la paura, in forza di Colui che “ha offerto sé stesso” [Ebrei 9 – II lettura] e che continua a farlo ora per noi nei gesti eucaristici.
La forza di quel pane che ci salva come “farmaco di immortalità” non nasce da una magia sacrale, ma lo è in quanto “segno efficace” di quell’amore che trova riscontro profetico nella vedova di Zarepta: non curante della propria sopravvivenza il Signore, donando il suo corpo, decide di sfamare noi!
Preghiamo con la Parola
O Padre, che sempre e solo doni,
fa' che sappiamo donare 
tutto quello che siamo e abbiamo,
come le vedova con Elia
e quella indicata dal tuo Figlio Gesù
esempio di Lui
che ha offerto la sua vita per noi.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell'unità dello Spirito santo
nel tempo e nell’eternità. 
Amen. 


giovedì 31 ottobre 2024

Vicina è la Parola 3 novembre 2024 – XXXI Domenica/B L’Amore basta alla vita

Vicina è la Parola
3 novembre 2024 – XXXI Domenica/B

Deuteronomio 6,2-6 / Salmo 17
Ebrei 7,23-28
Marco 12,28-34
L’Amore basta alla vita
Contestualizzazione evangelica di Marco 12,28-34
Il cammino dell’Amore
Seguito dal cieco che ora ci vede “di nuovo”, dopo essere riemerso dalle “viscere” della terra [Gerico circa -250 m s.l.m.], Gesù fa il suo ingresso trionfale in Gerusalemme [+754 m s.l.m.] (cf Marco 11,1-11).
Sarà una settimana molto intensa di insegnamenti e di scontri con le autorità religiose e politiche che metteranno in discussione l’autorevolezza del Nazareno nel suo operare messianico dimostrando così la loro cecità -“non lo sappiamo”- e la loro sterilità dovuta all’incredulità, ben rappresentata dalla “parabola del fico” (cf vv. 12-33).
Il culmine dello scontro avviene quando un’altra drammatica e cruenta parabola li riguarda direttamente: il figlio ucciso dai vignaioli omicidi (cf 12,1-12). In essa Gesù dà anche il significato più profondo e autentico del proprio rifiuto e dello scarto, come evento nel quale il Padre può finalmente e definitivamente operare a favore dell’umanità.
La calma che segue sarà solo apparente poiché farisei, erodiani, sadducei e scribi si faranno avanti per dirimere questioni riguardanti il tributo da pagare all’imperatore romano (cf vv. 13-17), la risurrezione dei morti (cf vv. 18-28), il comandamento principale della Toràh (cf 12, 28-34).
Non si tratta semplicemente di dispute dottrinali, ma contengono in sé elementi che riguardano direttamente Gesù, il suo destino messianico, la sequela dei suoi discepoli, la folla che ammirata lo ascolta volentieri, la nostra fede in Lui.
Nel suo consegnarsi Egli riporta così tutto al Padre, Dio della vita, e rivela il principio “primo” che muove anzitutto il suo essere e il suo agire: l’amore.
Tutto quello che Egli come Figlio (cf vv. 35-37) finora ha operato e insegnato, anche apparentemente contro la Toràh, in realtà ne compie il senso e il significato: amare!
Ciò che non riescono più a fare gli scribi, lo compirà la vedova che “nella sua miseria… ha gettato tutto quello che aveva per vivere” (cf vv. 38-44), vera immagine di Colui che dona/espone la sua vita per noi e per tutta l’umanità in un amore incommensurabile.
Mentre la mentalità legalista cerca una graduatoria di doveri, la logica divina è quella dell’amore che compie ogni norma, è “il senso di tutte le scelte, di qualsiasi responsabilità che ci investe, di ogni compito che assumiamo nell’esistenza… infatti giudica e relativizza ogni scelta umana dichiarandola incompiuta e contemporaneamente gravida di eternità” (CMdV).
La risposta di Gesù sta nel consegnare la propria esistenza di Figlio che manifesta la prossimità a noi del regno di Dio, attuando Egli stesso il “comandamento più grande” nell’amare il Padre con tutto sé stesso e noi come sé stesso.
Così Egli annuncia la speranza che la propria esistenza, e di tutti quelli che di umana non ne hanno più come la vedova [miseria], porta a compimento la storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo; nulla nell’umanità andrà più a vuoto, infatti sulla croce dirà: è compiuto.
Ambientazione liturgica
Quante volte anche da noi è andato fallito l’invito, “ascolta!”, da parte del Signore al suo popolo di osservare e di praticare, gravido di una promessa di felicità! [Deuteronomio 6 – I lettura].
Eppure niente di più bramiamo che questa, svincolati da ogni imposizione, convinti che essa stia proprio nella libertà di fare e non di essere [Salmo 17]. 
Chi ci salverà da questo radicale e drammatico fraintendimento? Solo Colui che ha offerto sé stesso una volta per tutte [èpafax] [Ebrei 7 – II lettura].
Questa Parola attua ciò che dice, ma nella nostra fiducia che sia possibile anche per noi far prevale l’amore con tutta la sua forza (cf 1Corinzi 2,4).
Non sperimentiamo ancora volta nei fragili segni del pane e del vino quest’amore che li trasforma in sorgente di vita?!
Preghiamo con la Parola
Padre,
tu sei il nostro unico Dio e Signore
fa’ che ti ascoltiamo,
perché i cuori, i sensi e le menti
si aprano alla logica dell'amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, 
tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con te, 
nell'unità dello Spirito santo,
nel tempo e nell’eternità.
Amen.


venerdì 25 ottobre 2024

Vicina è la Parola 27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B Una Luce che fa rinascere

Vicina è la Parola
27 ottobre 2024 – XXX Domenica/B
Geremia 31,7-9 / Salmo 125
Ebrei 5,1-6
Marco 10,46-52
Una Luce che fa rinascere
Contestualizzazione evangelica di Marco 10,46-52
Chi segue me avrà la Luce della Vita
Alcuni anfratti di noi stessi rimangono irraggiungibili tanto sono nascosti e oscuri, così bui che da lì in fondo non si vede nulla, nemmeno un raggio di luce penetra; e per di più non si è visti da nessuno.
Cecità assoluta!
Il cammino di Gesù tocca ora il suo punto più profondo, più in basso… fino a Gerico, la città ritenuta più antica a -276 m s.l.m. nella depressione del Mar Morto, quasi a voler raggiungere le viscere della terra, a voler incontrare “gli ultimi”, quelli più infimi (cf vv. 46-47).
È il regno di Dio che raggiunge davvero tutti e soprattutto coloro che rimangono ai margini della società per i loro limiti fisici, le loro incapacità a vedere con gli occhi e con la mente, avvolti da tenebre che impediscono di guardare la realtà e di riconoscere gli altri e di essere da loro notati, ma non di essere ascoltati -nel loro grido di aiuto- da Colui che a loro si fa vicino e presente (cf v. 48).
All’inizio pare solo una manifestazione della propria povertà ma, nell’incontro con Colui che porta luce e che è Egli stesso Luce, diventa un dialogo da cui nasce un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con la vita.
Dal buio della cecità al seguire colui che è la Luce del mondo (cf Giovanni 8,12).
Solo calandosi nelle tenebre più profonde il Signore ci fa riemerge e “venire alla luce”, rinascere (cf Gv 3,7.20).
Cosa vuoi che io faccia per te?
La stessa domanda che Gesù aveva fatto ai figli di Zebedeo si ripete qui, con risposte totalmente diverse (cf Mc 10,36). (Daniele Spatafora)
Tutto inizia con una chiamata che incoraggia: è il riconoscimento della propria identità, l’emergere dalla invisibilità a cui gli altri lo avevano condannato (cf v. 49).
E la risposta, più nei gesti che nelle parole, manifesta questa volontà e la sua libertà: “gettò via il suo mantello [riparo], balzò in piedi [risorge] e venne da Gesù [sequela]” (v. 50).
“La chiama di Dio è sorprendente… è un Dio sorprendente. Ci sorprende quando non siamo preparati… non è riconducibile ad un’edizione tascabile, ad un manuale.
Dio resiste ad essere addomesticato.
La fede non è un’opzione che si fa una volta per sempre; non è che, un giorno, noi decidiamo di diventare credenti. 
È un’opzione di ogni giorno di fronte a Dio che ci sorprende.
Egli giunge da una porta che non ci aspettavamo”. (J. Gonzales Ruiz)
Una domanda fa esprimere il bisogno, per altro abbastanza evidente a tutti che farebbe dire retorica la richiesta, ma nota soprattutto il desiderio autentico di potersi rialzare in piedi, di andare verso… la luce (cf v. 51, Gv 3,21).
Il chiedere di Gesù come per avere “il permesso” di agire, denota il suo rispetto e piuttosto l’appello alla libertà di volere. Per questo la guarigione dalla cecità è per il cieco una nuova chiama alla Vita, un processo di rinascita e di rigenerazione (c’è qui anche una traccia catecumenale nel racconto di Marco come in quello di Giovanni nel dialogo notturno con Nicodemo del capitolo 3).
Anche per i discepoli sempre perplessi, e anche per noi credenti sempre principianti (qui spettatori o protagonisti con Bartimèo), è una guarigione che ci chiarisce il modo di essere nella sequela di Gesù: come possiamo seguirlo ed entrare nel rischioso cammino del regno? (cf Gv 3,3); come è possibile? (cf Mc 10,23-27): possiamo in Chi ci fa rinascere! (cf v. 52).
Ambientazione liturgica
Per noi che ci raduniamo in Assemblea liturgica, la chiamata è risuonata inspiegabilmente già secoli prima per le parole di Geremia [31,7-9 – I lettura] ad un folto gruppo di deportati in Babilonia, menomati che tornano in patria, quelli che partiti in pianto adesso tornano con gioia [Salmo 125/6].
Non è solo la ricostruzione di una nazione, ma una rinascita interiore che riguarda tutti coloro che vanno liberati e anelano alla libertà, ad un rapporto di protezione, di cura filiale e paterno.
Con “il mandato finale”, il nostro metterci in cammino è parte dell’andare di ogni essere umano, di un flusso che accompagna la storia dell’umanità, un processo di rinascita: andare insieme verso la luce… Questo ci chiama a muoverci, alzarci, andare verso, convergere per la celebrazione e poi andare. Non sono atti banali, nella loro consuetudine rituale dicono la risposta ad una chiamata, la libertà di aderire, la volontà di dare una risposta.
È andare e convenire per ascoltare una Parola per noi che ci disseta, per entrare in un dialogo vitale con Colui che “è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nel buio della non conoscenza e dell’errore, essendo anche Lui rivestito di debolezza” [Ebrei 5,2 – II lettura].
Nessuna “appropriazione”, ma piuttosto una totale espropriazione nel donare interamente se stesso, corpo e sangue da autentico sacerdote (cf v. 5) ancora oggi, per noi oggi e per tutti, nella mensa eucaristica.
Preghiamo con la Parola
Padre,
che nel tuo Figlio unigenito
ci hai dato il sacerdote compassionevole
verso i poveri e gli afflitti,
ascolta il grido cieco della nostra preghiera
e fa' che tutti possano vedere in Lui
il dono della tua misericordia.
Egli, servo e Signore nostro,
che vivere e regna con te
e in mezzo a noi
nel tempo e nell’eternità. Amen.










Vicina è la Parola 17 novembre 2024 – XXXIII Domenica/B l futuro ha un Nome: il Risorto!

Vicina è la Parola 17 novembre 2024 – XXXIII Domenica/B Daniele 12,1-13 / Salmo 15 Ebrei 10,11-14.18 Marco 13,24-32 Le doglie del parto Co...