giovedì 6 novembre 2025

Vicina è la Parola 9 novembre 2025 San Giovanni in Laterano - Il segno del “nuovo Tempio”: il corpo del Risorto La prima Pasqua del Nazareno: un passaggio radicale e un ribaltamento di prospettiva

 Vicina è la Parola















9 novembre 2025

San Giovanni in Laterano

Ezechiele 47,1…12 / Salmo 45

1Corinti 3,9…17

Giovanni 2,13-22


Contestualizzazione evangelica di Giovanni 2,13-22

Il segno del “nuovo Tempio”: il corpo del Risorto

La prima Pasqua del Nazareno: un passaggio radicale e un ribaltamento di prospettiva

La festa di Pasqua dei Giudei si avvicinava e Gesù salì a Gerusalemme”.

Una caratteristica del racconto evangelico di Giovanni, rispetto ai sinottici, è la scansione del ministero messianico di Gesù in tre anni con la celebrazione annuale della Pasqua: 2,13 / 6,4 / 11,55 (13,1). È la “Pasqua del Signore” (Esodo 12,11.48; Levitico 23,5; Numeri 9,10.14), ma l’evangelista la chiama “dei Giudei” (distinta da quella dei Samaritani) ed è come se volesse dire che ormai i capi giudei se ne erano impossessati per mantenere il loro potere a scapito del popolo: utilizzavano la celebrazione della liberazione dalla schiavitù per accrescere le loro entrate economiche e sfruttare la gente (A. Maggi, La follia di Dio, p. 36).

Gesù rimane a Gerusalemme per tutta la Festa, e così: “Molti avevano visto i segni che operava e credettero in Lui”.

Questa osservazione conclusiva (cf v. 23), ci riporta alla precedente del v. 11 riguardo alla prodigiosa trasformazione dell’acqua in vino alla festa nuziale di Cana di Galilea (2,1-12) e ci induce a ritenere che nel cortile del Tempio Gesù stia per compiere un altro “segno”, dopo quello laico e domestico delle “nozze”, nel luogo ritenuto dagli Ebrei il più sacro di tutto il pianeta. A differenza di Cana però susciterà solo successivamente un’adesione di fede da parte dei discepoli (cf v. 22 e poi in 3,15), ma in seguito l’opposizione continua da parte dei capi giudei.

Il “segno” è narrato anche dai sinottici nella Pasqua della passione e morte di Gesù, in una prospettiva escatologica che richiama quella dei profeti, rammentata anche dai discepoli (cf 2,17), spesso in polemica con il culto celebrato nel Tempio ritenuto inquinato e non genuino, alimentando così l’attesa di una sua “purificazione messianica” (cf Malachia 3,1-4). Zaccaria 14,21 è citato da Gesù mentre caccia tutti fuori, persone e animali, rovesciando i banchi dei cambiavalute che frodavano la gente, un mercimonio denunciato violentemente (cf Isaia 1,11.13; Amos 5,21-23).

Oltre i gesti violenti, sorprendono le parole rivolte ai venditori di colombe: “Non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato” (16,b): lo Spirito di Dio che tutto anima e riconcilia, è offerto per denaro! Il “flagello”, invocato dai profeti stessi contro i peccatori (cf Isaia 10,26), è usato da Gesù contro i banchieri del Tempio che ne avevano fatto un centro finanziario e di commercio, di fatto profanandolo (cf 2Maccabei 3,6), ma sarà anche utilizzato sul corpo di Gesù stesso dai soldati romani per ordine di Pilato (Gv 19,1).

Ora è ben chiaro che, nel racconto di Giovanni, non si tratta solo di una “purificazione” ma di una “distruzione” che deve permettere la sostituzione del santuario e di tutto il regime religioso che esprime e di cui esso è parte (cf Geremia 7,11.14).

Un nuovo Tempio per una Pasqua di novità assoluta: Festa senza Tempio

Un radicale cambiamento sta avvenendo, anzi era già stato inaugurato con il primo “segno” di Cana dall’acqua della Toràh al vino dell’Evangelo (E. Borghi, Il cammino dell’amore, pp. 53-62), ma ora esplode con l’eliminazione della prima opera a cui Mosè aveva messo mano dopo l’alleanza (cf Esodo 25,8).

Che segno ci mostri per fare queste cose?” (2,18 cf 1Cor 1,22).

Già annunciato in 1,18.14 ora i giudei proprio su questo lo interrogano, di arrogarsi la signoria su quel luogo ritenendolo “casa del Padre” e quindi anche sua, rivendicandone il rapporto esclusivo di cui anche il Tempio è “segno” (cf Ebrei 9,24.28), come prima lo sono stati lo sposo e il vino delle nozze, e poi lo saranno l’acqua, la luce, il pane, la vite… “segni” attraverso i quali Egli comunicherà la Vita che è (1,4): donare la Vita è “il segno” della Verità che libera (8,32) (B. Maggioni, Giovanni, pp. 1620-1627).

Già qui emerge l’incapacità delle autorità religiose giudaiche anche solo di immaginare un rapporto con Dio diverso da quello della loro tradizione mosaica (cf cc. 7 e 8).

Le dichiarazioni di Gesù sulla distruzione del Tempio ci riportano anche all’opposizione che la comunità di Qumràn aveva verso tutto l’apparato cultuale giudaico a Gerusalemme: gli Esseni sostenevano che “il vero Tempio” è la comunità e che il culto autentico sono la vita santa in comune, la preghiera e l’osservanza interiore della Toràh. 

Nelle lettere apostoliche (Romani 12,1-11; 2Corinzi 6,14- 7,1; 1Corinzi 3,10-23; Efesini 2,18-22; 1Timoteo 3,15; 1Pietro 2,3-6; Ebrei 12,18-24; Apocalisse 21,9-11. 22-27, 22,1) il superamento della funzione esercitata dal Tempio è definitivo!

Ora Gesù è “l’Agnello di Dio (cf 1,29.35) che entrando nel Tempio ne annuncia la sua totale inutilità poiché non siamo più noi umani a dover offrire qualcosa a Dio per meritarci la sua benevola considerazione, ma è il Padre che offre il Figlio. Egli si spinge anche oltre: la “distruzione” della struttura sacra e diventa “segno del suo corpo” donato e crocifisso, il vero tempio è il suo corpo, non soltanto fisico, ma come “persona” nella quale si compie la vera e definitiva Pasqua di morte e risurrezione.

Ora, soprattutto dopo la distruzione materiale del Tempio nell’anno 70 d. C, questa convinzione della chiesa primitiva è ben presente anche nel vangelo di Giovanni: egli annota: “Quando risorse dai morti, i suoi discepoli ricordarono [e compresero] quanto aveva detto” (2,22).

Il risorto è “il-Dio-con-noi” e noi “riuniti nel suo nome siamo il luogo della sua stabile dimora, il nuovo santuario (cf Matteo 18,20). L’evangelista infatti non dice che dopo la distruzione Lui lo ricostruirà, ma che lo farà “risorgere in tre giorni (v. 19), un breve tempo che per i primi cristiani è riferito alla passione-morte-risurrezione.

Il Cristo crocifisso e risorto esaurisce ormai il Tempio come luogo della kabòd, dimora divina e dell’adunanza del popolo: “Quando sarò innalzato attirerò tutti a me” (12,33). Questo compimento comprenderanno i discepoli e i credenti nel futuro… ma non troppo, presto noi cristiani lo dimenticheremo!

Se leggiamo Apocalisse 21,9-11. 22-27, 22,1 ci chiediamo come si possa adorare Dio senza un tempio. “I discepoli non lo capiscono e comprenderanno queste cose solo alla risurrezione del Cristo (Gv 2,22). La samaritana ci arriverà molto prima (4,21-26). Per ora Gesù non è capito da nessuno” (A Maggi).

È il nuovo patto che si salda nel più intimo del nostro processo vitale di morte-vita, dove non esiste separazione tra “sacro/profano”, senza confini o timori di invasioni: Lui in noi e noi in Lui!

L’Amore suo in noi fa scaturire, dove prima era irraggiungibile da attingere nell’intimo di noi stessi, il vero culto “in spirito e verità”, un dialogo dove ciascuno, riconoscendosi amato davanti al “Sono Io che parlo con te”, diventa un “Tu” capace di risposta piena.

La Pasqua nel Corpo crocifisso e risorto

Ora che “Il Verbo si è fatto carne ed ha posto la sua tenda in mezzo a noi” (1,14), è il corpo umano del Figlio, Gesù di Nazareth, ad assolvere il ruolo del Tempio, ed in Lui l’umanità di ogni persona (cf Marco 14,58).

Ma ciò non può avvenire senza una “distruzione” del tempio materiale, “segno” del suo “corpo” che “seme macerato nella terra non rimane più solo ma porta frutto; che innalzato in alto sulla croce attira tutti a sé” (cf 3,14-18; 12,20-25).

Questo è “il segno” che ogni “cambiamento radicale” [conversione] chiesto da Dio a noi Lo trova sempre esposto Egli stesso in prima persona nel Figlio suo che ne subisce gli effetti su di sé, anche nella totale incomprensione.

Ci ricorderemo come i discepoli, rendendocene conto, che alla luce della sua risurrezione e per la forza del suo Spirito, dalla sua morte è generata la Vita?!


Preghiamo con la Liturgia

Padre, 

che con pietre vive e scelte
prepari una dimora per la tua gloriosa presenza tra noi,

continua a effondere sulla Chiesa, tua Sposa, il tuo Spirito

perché il popolo dei credenti
progredisca sempre nell’edificazione
della Gerusalemme eterna.
Amen.


giovedì 30 ottobre 2025

Vicina è la Parola 1° NOVEMBRE 2025 Tutti Sante e Santi - Santità

 Vicina è la Parola

1° NOVEMBRE 2025

Tutti Sante e Santi

Apocalisse 7,2-4.9-14 / Salmo 23

1Giovanni 3,1-3

Matteo 5,12-12

Santità

«I santi e le sante di ogni tempo, che oggi celebriamo tutti insieme

non sono esseri umani lontani, irraggiungibili. 

Al contrario, sono persone che hanno vissuto con i piedi per terra; 

hanno sperimentato la fatica quotidiana dell'esistenza 

con i suoi successi e i suoi fallimenti, 

trovando nel Signore la forza di rialzarsi sempre e proseguire il cammino.

La santità è un traguardo che non si può conseguire 

soltanto con le proprie forze

ma è il frutto della grazia di Dio e della nostra libera risposta ad essa. 

Quindi la santità è dono e chiamata che non possiamo comperare o barattare, 

ma accogliere, partecipando così alla stessa vita divina 

mediante lo Spirito santo che abita in noi dal giorno del nostro Battesimo.

Si tratta di maturare sempre più la consapevolezza 

che siamo innestati in Cristo, come il tralcio è unito alla vite, 

e pertanto possiamo e dobbiamo vivere con Lui e in Lui da figli di Dio. 

Allora la santità è vivere in piena comunione con Dio, 

già adesso, durante il pellegrinaggio terreno».

Francesco, 1° novembre 2019


Contestualizzazione evangelica di Matteo 5,12-12

La liturgia di oggi ci propone le Beatitudini di Matteo, “l’inizio” dell’annuncio messianico del Nazareno: la proclamazione della “felicità” di appartenere al Regno di Dio.

È un passaggio provvidenziale anche perché, dopo faticose e drammatiche controversie con i farisei attestate da Luca nei capitoli 17-18 delle scorse domeniche, ritroviamo la motivazione fondamentale delle opposizioni da parte delle autorità religiose e politiche alla predicazione messianica di Gesù.

Cosa costituiscono infatti le “Beatitudini”, che Matteo pone in un’ambientazione “sinaitica” all’inizio del lungo “Discorso del monte” (cf 5,1- 7,29), se non il ribaltamento dell’impostazione teologica israelitica, a tal punto che “la folla stessa era meravigliata per i suoi insegnamenti che erano così diversi dai suoi maestri della Legge mosaica, poiché insegnava con piena autorità”?! (7,28-29).

Mosè per primo, autentico ermeneuta della Torah, nella versione presente in Deuteronomio, promette ripetutamente al popolo in ascolto la “beatitudine” a condizione che tutti i precetti in essa contenuti siano “praticati e ascoltati” (cf Dt 5,1.32; 6,24), quindi al termine di un percorso di docilità alla Toràh, a volte anche drammatico.

Gesù invece ha iniziato la sua missione tra la gente emarginata della sua regione, la Galilea, annunciando che Dio è definitivamente presente in mezzo a noi [il regno di Dio] e questa è una nuova notizia, bella e buona per tutti [l’evangelo], poiché finalmente dà la possibilità di cambiare il modo di vedere la propria esistenza [la conversione] e di comportarci con Dio e con gli altri [la giustizia].

Il cambiamento più importante, e anche il più difficile, è quello di pensare e di vivere la religione non più come un dovere, ma come un’esperienza e una promessa di felicità, di ben/essere e di buon/vivere con Dio e con gli altri, già adesso e per sempre.

Ed è Gesù che per primo realizza ogni promessa di felicità e la attua Lui stesso, con il suo vivere da Figlio del Padre, mandato per farci lo stesso dono, e infine la vuole condividere e annunciare ai suoi primi discepoli, a noi e a tutti. 

Questo è il dono della sua santità!

Di commenti alle Beatitudini ne abbiamo molti a disposizione, anche autorevoli (ultimo quello dell’amico Ernesto Borghi, Discorso della montagna, pp. 11-22).

Proverei “tradurre” così le 8 beatitudini di Matteo:

Beati coloro che si fidano solo di Dio

perché Lui è già tutto per loro.

Beati coloro che soffrono profondamente

perché sarà Dio stesso a consolarli.

Beati coloro che non sono prepotenti

perché Dio donerà a loro un mondo migliore.

Beati coloro che desiderano 

e cercano ciò che vuole Dio per loro

perché Lui per primo lo realizzerà.

Beati coloro che provano amore e tenerezza per gli altri

perché Dio avrà a cuore la loro miseria.

Beati coloro che sono semplici e sinceri 

perché Dio si farà conoscere a loro.

Beati coloro che realizzano la pace

perché Dio li considererà suoi figli.

Beati coloro che sono maltrattati

per aver compiuto ciò che Dio vuole

perché Lui è già tutto per loro.


Ambientazione liturgica

+ Il Vaticano II dice che la Liturgia è “culmine e fonte della vita cristiana”; in Matteo, la beatitudine di poterla vivere è proclamata da subito, fin dall’inizio: il Vangelo di Gesù ci fa partire da dove altri arrivano!

- Anche noi oggi “saliamo al monte del Signore” anche se non “abbiamo mani innocenti e cuore puro”; eppure Lui ci ha chiamati “nel suo luogo santo” e così ci santifica manifestandoci in Gesù “il suo volto” [Salmo 23].

- Questo è rivoluzionario anche rispetto al conseguimento della “santità” che festeggiamo oggi: sapere di essere realmente figli amati dal Padre e avere speranza in Lui anche se il mondo sembra non riconoscerci come tali, e se spesso nemmeno noi lo abbiamo chiaro [1Giovanni 3 – II lettura].

- La nostra gioia più grande dovrebbe essere quella di far parte di quella “moltitudine immensa e che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua… che hanno attraversato la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti, rendendole bianche nel sangue dell’Agnello” [Apocalisse 7 – I lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Padre misericordioso ed eterno,

che ci doni la gioia di celebrare in un’unica festa
la gloria di tutti i Santi e Sante,

concedi al tuo popolo,
per la comune intercessione di tanti nostri fratelli e sorelle,
l’abbondanza della tua misericordia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Amen.

Sulla morte, del Patriarca Atenagora I

“Tutto ha un senso, anche tu hai un senso. 

Per questo tu non morirai affatto e quelli che tu ami, 

anche se li credi morti, non moriranno. 

Ciò che è vivo e bello, fino all’ultimo filo d’erba,

fino a quest’istante che fugge e nel quale hai sentito le tue vene pulsare di vita,

tutto sarà ormai vivo per sempre. 

Anche la sofferenza così come la morte ha un senso 

e diventano sentieri di vita. 

Tutto infatti è già vivente, perché Gesù è risorto”.


Vicina è la Parola 9 novembre 2025 San Giovanni in Laterano - Il segno del “nuovo Tempio”: il corpo del Risorto La prima Pasqua del Nazareno: un passaggio radicale e un ribaltamento di prospettiva

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