venerdì 10 ottobre 2025

L'elogio della GRATITUDINE

 Vicina è la Parola



 

 


12 ottobre 2025 -Domenica XXVIII/C

2Re 5,14-17 / Salmo 98

2Timoteo 2,8-13

Luca 17,11-19

 

L’elogio della GRATITUDINE

Un altro “elogio” che ci raggiunge dal racconto evangelico di Luca (17,16-18).

Se la sfida evangelica è amare senza aspettarsi gratitudine, tuttavia essa va riconosciuta quando chi la esprime non avrebbe motivo per dimostrarla e nessun requisito nemmeno per ricevere una grazia perché emarginato, escluso e scomunicato... samaritano appunto!

La gratitudine è una risposta che non sarebbe possibile senza la gratuità di un solo piccolo gesto d’amore, anche da una distanza che all’inizio sembra insuperabile.

Ha più valore il dono in sé o il gesto che oltrepassa le barriere?

Se ci sorprende la gratuità dell’amore, non può non stupirci che la gratitudine venga da chi non ce l’aspetteremmo.

“L’essere umano compiutamente realizzato, secondo l’evangelo di Gesù, è colui che sa accorgersi di sé stesso e degli altri, del miracolo continuo che l’amore misericordioso opera nella sua vita (cf Luca 10,33ss.; 17,15ss.). Chi sa accorgersi della grazia su di sé, sa usare per questo misericordia verso gli altri. Nella gratitudine del lebbroso samaritano, Gesù riconosce il segno della sua fede: nella gratuità verso il prossimo e nella gratitudine verso di Lui. Ecco il cammino quotidiano della vita di fede: dalla gratuità alla gratitudine” (Comunità di Viboldone).

 

Contestualizzazione evangelica di Luca 17,11-19

Una nuova tappa del cammino del Nazareno “verso Gerusalemme, come viene narrato da Luca, “attraverso la Samaria e la Galilea”: Egli sta andando incontro alla sua morte. Un percorso molto strano, verso nord che sembra allontanarlo dalla Città santa a sud; un cammino lungo la “frontiera” tra due regioni periferiche per la religiosità ortodossa giudaica.

Tuttavia essa circoscrive un’ambientazione più teologica che geografica, tipica di Luca, per introdurre nuovamente la gratuità della salvezza operata da Gesù che ha come suoi protagonisti preferiti “gli esclusi” per eccellenza, “i lebbrosi” (10 che equivale a “tutti”) e “gli scomunicati” per antonomasia, “un samaritano”.

L’osare andargli incontro è già riporre la fiducia in uno che va verso di loro contro ogni regola e convenzione, aprendo così uno spazio di dialogo (cf 5,42-44); essi giocano il tutto per tutto non arrendendosi a una situazione senza via di uscita e rivolgendosi a chi ne ha la possibilità [“maestro/capo” v. 13].

A quali “sacerdoti” avrebbero dovuto presentarsi i lebbrosi per verificare la guarigione? Troppo distanti da quel luogo! Eppure si incamminano lo stesso, fidandosi unicamente della sua parola.

Ma uno solo dei risanati avverte il paradosso e non perde tempo: torna da Gesù, fonte della sua nuova vita ricevuta, Dio stesso; dimostra gratitudine e fede; addirittura riceve il dono di poter “risorgere” e “il mandato” di poter continuare a vivere così.

Un percorso che anticipa ciò che il Signore opererà per tutti gli esseri umani con la sua risurrezione: la fine di un sistema religioso ormai totalmente inefficace per il bene delle persone e l’inizio di una novità assoluta di cui la comunità lucana è ormai depositaria. Ora essa deve coglierla come una sfida e non chiudersi nelle sue sicurezze e pregiudizi, ma continuare ad esserne testimone se non vuole incorrere negli errori del passato (cf Atti 8,5-25). Il suo compito è mantenere viva la relazione con il Risorto e l’appartenenza a Lui che trasmette, oltre all’integrità fisica, la ragione vera del vivere.

 

Ambientazione liturgica

            + L’acclamazione al vangelo ci dà i contorni e le dimensioni del messaggio lucano: “Voi siete… proclamate: Lui vi ha chiamati dalle tenebre alla luce” (cf 1Pietro 2,9). Siamo noi che ascoltiamo e celebriamo a “risorgere” per la parola del Signore: “Alzati e va’”.

            L’Eucaristia è il “rendere di grazie” del nostro passare nuovamente da morte a vita nuova, rigenerati e mandati a testimoniarla.

La Liturgia della Parola ci annuncia la salvezza e quella eucaristica ce la fa sperimentare.

            - È una salvezza universale per la quale la comunità ringrazia a nome di ogni essere umano e di tutti i popoli che ancora non la riconoscono [Salmo 98].

            - La guarigione dalla lebbra di Naamàn il siro testimonia anche a noi la gratitudine dello “straniero” che scopre una nuova appartenenza al Signore al di là delle sue origini etniche e religiose [2Re 5 - I lettura].

            - Paolo, “in catene”, è disposto a soffrire personalmente per “quelli che Dio ha scelto”, consapevole che la risurrezione di Gesù opererà la salvezza. Questo non dobbiamo dimenticarlo mentre celebriamo il culto: tutti sono con noi, presenti a partecipi della vita nuova nella quale “moriamo e risorgiamo” [2Timoteo 2 - II lettura].

            - Alzati e va’” è la parola che oggi ci congeda [Luca 17,19 – Evangelo].

            Siamo mandati ad andare incontro accorciando ogni distanza, abbattendo ogni distinzione, sanando ogni divisione con la forza della Sua Parola.

 

Preghiamo con la Liturgia

Dio nostro Padre,

che nel tuo Figlio liberi l'essere umano

dal male che lo opprime
e gli mostri la via della salvezza,
donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
affinché, rinnovati dall'incontro con la tua parola,
possiamo renderti gloria con la nostra nuova vita.

Amen.

venerdì 3 ottobre 2025

L'elogio della gratuità

 

Vicina è la Parola

5 ottobre 2025 - Domenica XXVII/C

Abacuc 1,2…4 / Salmo 94

2Timoteo 1,6…14

Luca 17,5-10

 

L’elogio della GRATUITA’

Avrei voluto titolare “Elogio dell’INUTILITA’” ma in realtà nulla di più inutile della gratuità, anche se nella nostra società, dominata dalle leggi del profitto esasperato, “gratis” funziona molto almeno come esca per poi incastrarci allo scadere dell’allettante offerta.

La gratuità dell’amore è la caratteristica che lo garantisce e lo invera, svelandone le manipolazioni o le contraffazioni: amare senza avere nulla in cambio.

L’amore, nella sua gratuità ci salva e ci abilita ad amare gratuitamente esponendoci al rischio di sentirci inutili quando, senza nessun utile, lo doniamo.

L’inutilità diventa un valore tra le mani di un abile artigiano che sa riciclare e forgiare la bellezza dallo scarto e da ciò che viene buttato perché ormai ritento inutile.

Proprio quando una cosa non ci serve più diciamo che ormai è inutile; ecco quando non possiamo più servircene… la buttiamo. “Servire senza servirsene” riguarda invece noi esseri umani nei confronti della Chiesa e della società, ma anche delle nostre relazioni amicali e affettive.

E quando noi non potremo neppure servire…?

Quando la società o la Chiesa stessa dovesse ritenerci non più utili? Potremo amare ancora!

Forse è questo che ci spaventa dell’amore di Dio fino a ritenerlo “inutile” e da allontanarlo da noi per il fatto di non poterlo meritare e di non doverlo ricambiare, mentre Lui nemmeno ce lo chiede. Allora sperimenteremo quanto l’amore sia necessario, gratuitamente indispensabile.

 

Contestualizzazione evangelica di Luca 17,5-10

Il racconto evangelico di Luca alterna insegnamenti del Nazareno alle autorità religiose e ai suoi discepoli, raccolti e riproposti ai credenti e alle comunità della seconda generazione cristiana le cui esperienze fanno constatare problemi di relazioni e di comportamenti critici che sono di ostacolo [scandalo] nel loro già non facile cammino di fede. La “regola” di base per affrontarli [rimprovero] è lo stesso vissuto da Gesù e da Lui proposto a più riprese: il perdono (17,1-4; cf Matteo 18,16-35 e cf Lc 23,34).

Può sembrare un segno di bontà d’animo la disposizione a perdonare, ma già i discepoli si rendevano conto quanto dipenda dalla fiducia nel Signore, dall’esperienza della sua misericordia da Lui annunciata e a loro manifestata (cf capitolo 15).

Comprendiamo meglio allora la richiesta al Signore, a cui possiamo unire la nostra: “Facci crescere nella fede!”. Il perdono degli altri richiede infatti di “sradicare” dentro di noi l’odio e il desiderio di vendetta mentre ci permette di verificare l’autenticità del nostro credere (cf 17,5-6).

La parabola che segue, come al solito per attuare l’insegnamento dato, ci tutela dal ritenere insuperabile la nostra incapacità naturale ad accogliere il messaggio evangelo dell’amore e di considerarci quindi “inutili”. Piuttosto ci incoraggia a essere ministri fedeli al rapporto con il Signore affinché ogni nostro sforzo non sia inutile e sprecato, ma da Lui valorizzato.

Questo è il vero “servizio” [diakonìa] nei confronti dei nostri fratelle e sorelle, anche di ogni essere umano: mandati dal Risorto ad annunciare e testimoniare la forza rigeneratrice dell’amore.

Nulla è perduto di ciò ch’è fatto con amore” (E. L. Word) anche se a noi sembrasse così e ci sentissimo per questo “inutili” proprio perché “senza utile”, senza merito o diritto a una ricompensa (cf vv. 7-10).

 

Ambientazione liturgica

            + Disporci in ascolto della Parola richiede anzitutto la fiducia che quanto ci viene annunciato/proclamato è il Signore stesso a compierlo nella nostra esistenza e nella storia di cui facciamo parte.

- Anche la Parola ci pone interrogativi che riecheggiano quello che già viviamo; siamo tentati di rovesciare le responsabilità sulla mancanza di un intervento divino piuttosto che verificare la nostra reale fiducia nella sua presenza: non vederla non dà garanzie e assicurazioni; attesta un fine: se tarda attendilo! [Abacuc 1 – I lettura].

- Ascoltare per il credente è anzitutto accogliere questa presenza, quasi mai appariscente, eppure visibile nel creato e nella storia. Anche se tentati di dubitare la liturgia ci invita ad applaudire, ad acclamare, a ringraziare ed adorare i segni di questo amore [Salmo 94].

- Così, giorno per giorno, si ravviva il dono ricevuto e custodito… sempre alimentato dallo Spirito del Risorto che in noi dimora. In questo modo, come i discepoli, non siamo più timidi o vergognosi ma forti, saggi, capaci di amare e di testimoniare anche qualora impossibilitati dalle circostanze o dalle sofferenze [2Timoteo 1 – II lettura].

+ L’efficacia del credere è la forza della speranza, è servizio che non vede utilità… quanto mai necessario anche oggi, anche se non riconosciuto o valutato inutile [Luca 17 – Evangelo].

            Lo stesso Signore, che celebriamo come comunità pasquale, non è stato forse ritenuto servo inutile e la sua croce insulsaggine e follia perché contraddice l’uomo sicuro di sé?!

            Saremo noi capaci di tollerare questa nostra povertà di testimoni?

 

Preghiamo con la Liturgia

O nostro Padre,

tu non tolleri l'oppressione e la violenza,
e soccorri prontamente i tuoi figli,
rinvigorisci la nostra fede,
affinché non ci stanchiamo di operare in questo mondo,
nella gioia di esserne al servizio.

Amen.

venerdì 26 settembre 2025

Vicina è la Parola 28 settembre 2025 Domenica XXVI/C L’abisso dell’Amore

 Vicina è la Parola











28 settembre 2025

Domenica XXVI/C

Amos 6,1a-7 /Salmo 146

1Timoteo 6,11-16

Luca 16,19-31


L’abisso dell’Amore

Con tutti gli “abissi” nei quali l’umanità rischia di sprofondare, rischiamo di dimenticare quello che è costituito dall’intimo di ogni persona. “L’anima umana è come un abisso che attira Dio, e Lui vi si getta”. (Julien Green)

Ma ci sono abissi scavati da noi, soprattutto quelli sociali, creati dalle disuguaglianze economiche e dall’ingiusta “distribuzione” delle ricchezze, come dal loro non libero accesso, di cui evito di citare le statistiche facilmente reperibili in rete (https://asvis.it/notizie). 

C’è anche l’abisso della solitudine e del dolore dal quale non è facile uscire. 

“Davanti a questa prospettiva, che non mi è estranea, provo paura. Sento racconti di missili che piovono sulla testa di tante persone, e continuo la mia strada, come se niente fosse. 

Davanti all’irrigidimento del cuore, alla sua pietrificazione, non so che cosa fare. 

Cerco una parola nel vangelo e trovo un nome, Lazzaro: “Dio aiuta”…  che mi fa prendere coscienza del rischio che corro. Dio aiuta, mettendomi davanti esempi di persone che la distanza tra sé e gli altri la percorrono, e offrono da mangiare, offrono un tetto e messaggi pieni di incoraggiamento. Non vi lasceremo mai soli. Dio aiuta. Lasciamoci aiutare. Ma com’è difficile!”. (Stefano Corticelli SJ)


Contestualizzazione evangelica di Luca 16,19-31

Il racconto evangelico di Luca ci testimonia il cammino di fede di una comunità che non è solo impegnata a vivere nel suo “oggi” l’evangelo del Nazareno, ma che vuole attuarlo e contestualizzarlo nelle dinamiche sociali del suo tempo.

L’ultimo “detto” del brano proclamato nella XXV domenica: “Non potete servire Dio e la ricchezza” (16,13b) pone proprio il dilemma tra un’esistenza asservita alla logica dell’avere e del possedere, trascurando chi ha meno e nemmeno il necessario per una vita dignitosa, e quella della giusta ripartizione dei beni materiali.

Oggi, come allora, questo suscita la derisione dei “farisei di ogni tempo” e per il credente è una provocazione su quale scelta di vita sia più “giusta” e coerente, con “l’evangelo del Regno di Dio” e con la perenne validità della Torah a cui si è “legati” non per dovere ma in “patto sponsale” (cf vv. 14-18).

Ecco dunque una nuova parabola che apparentemente si presenta come di “consolazione” per gli impoveriti e di “avvertimento” inesorabile per i ricchi, rivolta al futuro di un’altra vita su cui incide il presente che può essere capovolto in vista dell’eternità (cf 16,19-31).

La sua conclusione ci avverte che nemmeno questa prospettiva sortirà l’effetto risolutivo desiderato, addirittura nel presentarsi vivo di Uno che ha superato la morte e sperimentato come stanno veramente le cose “davanti a Dio” (cf v. 31!).

Traspare qui la delusione dei cristiani nel non vedere realizzata la portata rivoluzionaria dell’evangelo? Oppure il fallimento dei suoi tentativi di una società più giusta e solidale già all’indomani della risurrezione del Nazareno nella stessa Gerusalemme? (cf Atti 2,44-45; 4,32-37; 5,1-11)?

In che modo “Dio soccorre” [Lazzaro]? Solo nell’al di là? I ricchi continueranno a godersi la vita mentre la maggioranza dell’umanità vive sotto la soglia della sopravvivenza, nutrendosi delle briciole che cadono dalla tavola degli epuloni? Il Nazareno lo aveva già fatto per la donna cananea che si riteneva lì relegata (cf. Matteo 15,27-28).

L’abisso scavato che divide è stato messo in cantiere lungo tutta la storia di ingiustizie perpetrate ai danni di ogni povero e non finirà, nonostante che “l’uomo Gesù” in quell’abisso si sia calato con tutta la sua portata di amore realizzando in sé stesso anzitutto le condizioni della “beatitudine” proclamata e da lui attuata (cf Lc 6,20 ss.). 

La morte, come condivisione radicale del destino di ogni essere umano, manifesta lo svelamento di quanto è già sotto gli occhi di tutti, ma che non vuole essere visto perché non si vuole guardare in faccia alla realtà. 

Solo il capovolgimento della risurrezione, non come resa dei conti o ristabilimento di un equilibrio compromesso, ma vittoria definita della vita nella sua piena dignità, sarà per tutti possibilità di gustarla in base alla propria capacità maturata nell’esercizio quotidiano dell’amore.

Nessuno avrà più fame o sete fino al punto di morirne o di gozzovigliare per placarla, tutti comprenderemo chi siamo come “esseri umani” e chi possiamo diventare nell’uomo Gesù Cristo che l’Amore fa vivere per sempre. (Comunità di Viboldone)


Ambientazione liturgica

+ Il compito prioritario della Parola è di metterci anzitutto davanti a Dio nella nostra situazione personale, comunitaria e sociale. In particolare quella profetica ci richiama alle nostre responsabilità denunciando le nostre “false sicurezze” e la nostra incapacità di vedere i segni di una crisi incipiente, allora culminata con l’esilio e oggi con esiti ancora ignoti ma purtroppo prevedibili [Amos 6 – I lettura].

- Proprio nella Liturgia la comunità si riconosce interpellata in prima persona verso le situazioni dei più deboli e svantaggiati, e non cede facilmente alla tentazione di “scaricare” sul Signore la “fedeltà” ad un patto a cui è tenuto anche il suo popolo che solo così può elevare a Lui la sua lode [Salmo 146].

- La mensa eucaristica non può essere una caricatura della realtà, se alla mensa del benessere non vogliamo invitati intrusi o “irregolari” ma solo ospiti scelti e selezionati. Essa è per tutti, soccorsi dall’Amore -Lazzaro- che tutti nutre [Luca 16 - Evangelo].

- Così tutti possiamo riconoscerci “uomini di Dio” e stare “al suo cospetto” come ha testimoniato Gesù davanti a chi -Pilato- lo stava condannando: paradosso dell’Amore che non teme di essere misconosciuto per essere alla fine riconosciuto e accolto, “il solo che possiede l’immortalità” [1Timoteo 6 – II lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Dio nostro Padre,

che conosci le necessità dei poveri
e non abbandoni il debole nella sua solitudine,
liberaci dalla schiavitù del nostro egoismo
affinché non siamo sordi alla voce di chi invoca aiuto,
e siamo così testimoni credibili del Cristo risorto.

Amen.


venerdì 19 settembre 2025

Vicina è la Parola 21 settembre 2025 Domenica XXV/C Amministrare l’Amore

 Vicina è la Parola

21 settembre 2025

Domenica XXV/C

Amos 8,4-7 / Salmo 113

1Timoteo 2,1-8

Luca 16,1-13


Amministrare l’Amore

Già gestire le relazioni affettive è un’impresa, figuriamoci doverle “amministrare”.

L’amore è il “bene” primario ed essenziale alla nostra esistenza umana, fonte della gioia di vivere in quanto amati e della soddisfazione di poter amare qualcuno, per questo va accolto, custodito, alimentato, condiviso, ricercato… amministrato quindi, come ogni altro prezioso patrimonio che a noi esseri umani è stato affidato.

Dover “rendere conto” dell’amore non piace a nessuno, soprattutto a chi investe in questa esperienza il massimo della libertà e dell’intraprendenza, compresa l’estrema fantasia nel fallire e, purtroppo anche, nel far soffrire.

Si tratta però di una nostra responsabilità che come umani non possiamo declinare soprattutto nei confronti della vita stessa: che ci piaccia o no, spesso in modo imprevedibile o per noi ingiusto, un giorno o l’altro dovremo farlo; viceversa sarebbe un insulto alla nostra intelligenza.

Ma rendere conto a chi, come? 

Anzitutto a noi stessi, e poi a Chi possa accoglierci nella sua casa nonostante tutto e solo in virtù della nostra amicizia, nonostante la nostra condotta utilitaristica: dare per avere; della nostra mentalità calcolatrice: fin dove mi conviene; delle nostre abitudini “romantiche”: vorrei ma non posso... 

Certo che puoi! Non dobbiamo aspettare la grande occasione. Le piccole situazioni quotidiane ci offrono la possibilità di rendere conto della nostra vera capacità di amare ed esse ci permettono di ricominciare sempre.


Contestualizzazione evangelica di Luca 16,1-13

La comunità di Luca aveva recepito l’evangelo del Nazareno di un Dio che ama “visceralmente”, facendolo diventare il suo stile di vita nelle relazioni fraterne e nel proprio ambiente sociale. C’erano anche contrasti come tra Gesù e i suoi contemporanei: farisei ed esperti della Torah, esattori e gente di malaffare, ricchi approfittatori e scaltri amministratori, anche convertiti al cristianesimo. 

Nella comunità, e non solo nella società, capitano sempre situazioni nelle quali si può venir colti in un’amministrazione fraudolenta (e non soltanto dei beni materiali…). Come venirne fuori puliti o per lo meno senza perdere tutto?

La paradossalità di questo amore sconfinato si incontra quindi dialetticamente con scelte esistenziali difficili da discernere e districare nella vita quotidiana, per noi credenti oggi come lo è stato per i discepoli a cui il Maestro rivolgeva ancora una parabola: Luca 16,1-8, ancora una similitudine tra la scaltrezza mondana e quella “illuminata” dell’evangelo: “farsi amici” (vv. 8-9). 

Ma perché non sembri opportunismo, e consapevole dei pericoli sempre in agguato dentro e fuori la comunità, Luca richiama “detti gesuani” radicali riguardanti la “fedeltà” e la disonestà, l’esclusivo servizio al Signore, ai fratelli e alle sorelle, e il costante pericolo di essere ammaliati dalle ricchezze (cf vv. 10-13) nel quale invece sprofondano gli stessi farisei, scettici sull’insegnamento così radicale di Gesù fino a ridicolizzarlo (cf vv. 14-31).

La comunità dei credenti si rende conto dell’imbarazzante “evangelo” del Dio fattosi uomo ed è come se all’improvviso si accorgesse del suo messaggio ultimo ed inequivocabile: la Parola dell’Amore misericordioso. Consapevole di amministrare [οἰκοnοmίαs per 7 volte!] questo patrimonio e di doverne “rendere conto” al suo Signore, ammette anche di essere del tutto sprovveduta, non altezza del compito affidatole (vv. 1-2). 

La parabola, con cui Gesù voleva sbalordire i suoi uditori affinché si scuotessero e cogliessero l’urgenza dell’ora messianica, le viene incontro con l’invito a non declinare le proprie responsabilità, a non fuggire. Pur nell’inadeguatezza dei propri mezzi, nell’ambiguità di ciò che è ed ha, la spinge a mettersi comunque al servizio del Regno che viene. Le sono sempre possibili gesti di amore quotidiano con cui rischiare di amare “nel poco” sapendo che “il molto” (cf v. 10) è solo un dono da accogliere così come si è accolti dall’Amore che si fa “casa” (cf v. 9). (Comunità di Viboldone)


Ambientazione liturgica

+ La comunità cristiana, in Assemblea celebrante, è rappresentativa di tutti gli esseri umani presso il Signore. Siamo un popolo “sacerdotale” che non si rinchiude dentro per pregare, ma che si apre e porta con sé “domande, suppliche, ringraziamentiper e di tutti. 

- Così ha fatto il Signore nella sua esistenza terrena, così i suoi discepoli e apostoli come Paolo per le sue comunità [1Timoteo 2,1-8 – II lettura]. 

- Ogni domenica nella “preghiera universale” e nella “dossologia eucaristica”: “Per / In / Con Cristo…” la Chiesa si riveste della responsabilità di amministrare, sulle dimensioni del mondo… dell’universo facendosi voce di ogni creatura e degli esseri umani che affermano l’autonomia della loro esistenza e la sicurezza delle loro ricchezze [Luca 16 – Evangelo].

- La “lode cosmica” della comunità acclama con entusiasmo [Hallel - Salmo 112] il Dio che si china a guardare in basso e solleva l’indigente dalla polvere per farlo sedere tra i prìncipi.

- Ma la veridicità e la coerenza della preghiera si verificherà quando, una volta sciolta l’assemblea, ognuno andrà nel mondo come “apostolo e messaggero dell’uomo Cristo Gesù, unico mediatore, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” [Paolo] soprattutto denunciando le ingiustizie del nostro mondo e di un’apparenza religiosa spesso paravento allo sfruttamento dei poveri [Amos – I lettura].


Preghiamo con la Liturgia

Dio nostro Padre,

difensore dei poveri e dei deboli,
che ci chiami ad amarti con lealtà,
abbi misericordia della nostra condizione umana,
salvaci dalla cupidigia e dal possedere
e aiutaci a ricercare l'inestimabile tesoro 

della tua amicizia.

Amen.


L'elogio della GRATITUDINE

  Vicina è la Parola     12 ottobre 2025 -Domenica XXVIII / C 2Re 5,14-17 / Salmo 98 2Timoteo 2,8-13 Luca 17,11-19   L’elo...